Home » Cultura&Spettacoli » Pilotta- Dal 3 ottobre la mostra ‘L’Ottocento e il mito di Correggio- Quintavalle: “Toschi racconta un Correggio intimo, dialogante e borghese”-VIDEO

Pilotta- Dal 3 ottobre la mostra ‘L’Ottocento e il mito di Correggio- Quintavalle: “Toschi racconta un Correggio intimo, dialogante e borghese”-VIDEO


Si è tenuta questa mattina alla Galleria Nazionale della Pilotta la conferenza stampa di presentazione della mostra ‘L’Ottocento e il mito di Correggio’ a cura di Simone Verde e Carla Campanini che aprirà al pubblico il 3 ottobre 2020 fino al 3 ottobre 2021.

In perfetta linea con il progetto che dal 2017 vede l’attuale direttore Simone Verde e tutto il suo staff di storici dell’arte impegnati nella trasformazione e modernizzazione del Complesso Monumentale in un luogo dinamico e attivo incentrato prima di tutto sulla ricerca in cui proporre linguaggi di approfondimento del luogo e delle collezioni esposte in una serie di ‘mostre permanenti’ alla luce degli studi più recenti.

Racconti contemporanei aperti al confronto in continua evoluzione che arricchiscono e non si cristallizzano mai in assunti assoluti, ma offrono spunti di possibili dialoghi con percorsi scientifici di indagine ulteriori e modificabili nel vitale corso di rinnovati contesti possibili.

‘Il museo deve essere un luogo dinamico in cui si scambiano informazioni e interpretazioni basate su approfondite ricerche tra le diverse collezioni presenti e testimoniano un tempo presente in relazione al passato volto a creare un luogo di conoscenza” dice il direttore Simone Verde.

“Un vero e proprio luogo di ricerca dove le collezioni sono pezzi della storia e vanno, dunque, rilette e ripensate con l’occhio del contemporaneo, e questo è stato fatto da Verde in questa mostra permanente che ha messo in dialogo le opere anche con le collezioni dell’Illuminismo della Palatina cioè i libri, dando il senso del recupero di Correggio attraverso Paolo Toschi” sottolinea Carlo Arturo Quintavalle.

Perciò, per precisa scelta strategica del Direttore Simone Verde, questa mostra, dopo il lungo periodo espositivo si trasformerà in sezione definitiva della grande pinacoteca della Nuova Pilotta. Alle pareti resteranno le opere con i relativi pannelli espositivi, mentre l’ampio corredo documentario di approfondimento e confronto proposto dalla mostra temporanea resterà documentato dal catalogo scientifico dell’esposizione.

“L’Ottocento e il mito di Correggio” è innanzitutto un omaggio a due figure per molti versi fondamentali della storia parmense: Maria Luigia d’Asburgo, Duchessa di Parma, e l’incisore Paolo Toschi. Vuole anche essere una soluzione virtuosa di un problema allestitivo di lunghissima data con cui si sono confrontati tutti i direttori dell’ex Galleria Nazionale.

La Rocchetta, teatro di questa “mostra permanente”, infatti è uno spazio importantissimo dal punto di vista storico ma di difficile musealizzazione. Vi si trovano le pale del Correggio in un allestimento ottocentesco storicizzato e quindi inamovibile. Esse sono alla fine del percorso, però, cronologicamente decontestualizzate dalla produzione coeva e vengono dopo le opere del Settecento, esposte negli antichi saloni dell’Accademia.

Esiste da sempre un problema sul come giustificare tale collocazione che questo allestimento crede finalmente di aver risolto: il Correggio di questi spazi, in effetti, non è un Correggio pienamente rinascimentale, ma reinventato dal XIX secolo, a uso dei copisti dell’Accademia. Tirato giù dagli altari delle chiese in cui si trovava, è un maestro ormai borghese che il visitatore trova allestito ad altezza d’occhio per un dialogo a tu per tu. Per spiegare il senso di questo stravolgimento culturale, è stato perciò creato un percorso ricomprensivo, tipico di un museo contemporaneo cui è al contempo richiesta la narrazione della storia dell’arte e di quella delle collezioni.

Con “l’Ottocento e il mito di Correggio”, quindi, il visitatore troverà spiegato il senso della rimozione delle opere dagli edifici sacri da cui provengono e – grazie alla esposizione per la prima volta al pubblico della pittura ottocentesca della Pilotta – il contesto artistico di questa reinvenzione.

Intorno ai quattro capolavori del Correggio – La Madonna con la scodella e la Madonna di San Girolamo più le due tele provenienti dalla Cappella del Bono – che con il Secondo Trattato di Parigi nel 1815 vennero restituiti a Parma dal Louvre dove erano confluiti per effetto delle requisizioni napoleoniche, la mostra presenta anche il meglio della produzione ottocentesca del Ducato, nell’epoca in cui questo Correggio “secolarizzato” diventa l’eroe della pittura nazionale parmigiana.

Andando alle date, dopo il 1815 il Palazzo della Pilotta rappresentò un rifugio adatto per accogliere il patrimonio d’arte che doveva essere ricomposto e valorizzato e per tale motivo si rese necessario effettuare un rilievo delle sale della Rocchetta e dei locali dove aveva sede l’Accademia di Belle Arti oltre che progettare l’ampliamento dello spazio espositivo nei vasti saloni adiacenti la Rocchetta, affidato agli architetti Nicolò Bettoli e Paolo Toschi, che con l’esposizione delle opere del Correggio nelle salette piccole della Rocchetta le affidano il ruolo di sancta sanctorum della quadreria luigina.

I lavori di ampliamento iniziano nel 1821 e terminano tra il 1835 ed il 1838. Ad unire il grande maestro rinascimentale e i capolavori ottocenteschi è Paolo Toschi, incisore raffinato, architetto e direttore dell’Accademia delle Belle Arti, fondata nel 1757 dal duca Filippo di Borbone, poi fortemente sostenuta dalla Duchessa. Toschi ottenne che le due pale e le due tele diventassero strumento di esercizio per gli allievi della sua Accademia che vennero quindi poste su strutture che le rendessero orientabili per favorirne l’illuminazione, ovvero la visione con ogni luce. Toschi aveva diffuso, grazie alle incisioni su rame, l’opera di Correggio in tutta Europa, contribuendo alla fama del maestro e della città.

Suoi sono gli acquerelli che riproducono gli affreschi del Duomo e di San Giovanni che si ammirano in mostra tra le due pale, alcuni inviati alla Grande Esposizione di Londra del 1855 a rappresentare l’arte del Ducato. Molte delle sue opere e dei suoi allievi sono perciò esposte in queste sale in contrappunto con gli originali rinascimentali, restituendo al visitatore il senso di una reinvenzione culturale e artistica di primaria importanza per la storiografia dell’arte italiana.

La sua era una visione dell’arte di Maria Luigia, che risentiva di un gusto neoclassico di ascendenza ancora imperiale, aperta però al nascente gusto romantico per i soggetti storici e per la natura. In mostra, appartiene al primo filone l’opera di Francesco Scaramuzza rappresentata da una monumentale Silvia e Aminta, inviata nel 1862 ad illustrare Parma all’Esposizione Universale di Londra. Più accondiscendenti al gusto romantico sono i due magnifici Rebel acquistati direttamente da Maria Luigia, le due monumentali tele di Giuseppe Molteni, altro pittore “ufficiale” del ducato luigino mentre la piccola opera di Ferdinando Storelli rappresenta l’estetica di quella che la duchessa volle una longeva e significativa scuola parmense di pittura di paesaggio.

Uno degli ambiti in cui si espresse maggiormente la committenza luigina fu senz’altro quello della pittura religiosa, improntata a una concezione paternalista dello Stato. Le iconografie misericordiose, infatti, o celebranti le attività di elemosina o le elargizioni sovrane si moltiplicarono a dismisura e videro attivi gli artisti ufficiali della corte. Valgano per tutti il San Giovanni Battista di Francesco Scaramuzza e il David con la testa di Golia di Enrico Barbieri.

In diverse opere il riferimento ai maestri della pittura emiliana appare declinato in chiave “nazionalistica” di esaltazione del genio parmigiano. Che è anche genio e celebrazione dell’artista, come esprime la fioritura del genere dell’autoritratto. Ma la contemporaneità irrompe anche nell’antico Ducato costringendo la cultura accademica parmigiana ad emanciparsi. Ecco che la pittura di paesaggio risulta focalizzata ormai sulle forze – naturali e quindi scientifiche – che caratterizzano la universale vastità del reale.

Le spettacolari tele di Alberto Pasini, come i diaporama del tempo, riproducono in chiave immersiva i paesaggi esotici in cui si svolgeva la vita dei popoli più remoti.
Cecrope Barilli intanto ricerca l’esotico nascosto nel primitivo di classi popolari dedite a forme di esistenza analoghe a quelle delle terre colonizzate, mentre un universo tutto nuovo è quello introdotto da Amedeo Bocchi. Ed è già un entrare nel nuovo secolo.

Ph. Copertina Francesca Bocchia

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*