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Caso Rachid, la moglie: “Così la Procura imbavaglia la giustizia”

rachid-assarag-iene-4-1-696x482Il caso di Rachid Assarag, il detenuto marocchino che aveva denunciato di essere stato picchiato e malmenato nel carcere di Parma, portando a prova anche registrazioni di dialoghi tra i secondini e presunte violenze, è stato archiviato dalla Procura giovedì.

Dal 2009 ad oggi Rachid, condannato ad oltre nove anni per lo stupro perpetrato per oltre 7 ore su due ventenni in un appartamento di Milano nel 2008, è stato trasferito in undici carceri diverse (Milano, Parma, Prato, Firenze, Massa Carrara, Napoli, Volterra, Genova, Sanremo, Lucca, Biella), lamentando sempre mancanze o violenze.

A Parma, a suo dire, quelle peggiori, archiviate dalla Procura come “semplice lezione di vita carceraria”.

Ma la moglie, sempre al suo fianco in questa battaglia, non si rassegna, e ha scritto una lettera inviata agli organi di stampa, al sindaco Pizzarotti, al presidente della Regione, al vescovo di Parma, all’Ausl e ai garanti dei detenuti.

“Il mio nome è Emanuela D’Arcangeli, coniugata con Rachid Assarag, il cui nome potrebbe esserle più familiare del mio, perché in questo ultimo anno e mezzo, i quotidiani parmensi hanno ripreso la sua storia, per ciò che avveniva all’interno del vostro carcere cittadino.

Rachid approdò alla struttura di via Burla, nell’ottobre del 2010 e vi rimase per un anno, dopo aver già peregrinato in altri istituti, in cui aveva avuto modo di conoscere la “disciplina carceraria”.

Fin dall’arrivo a Parma, dovette subire ed essere testimone di svariate violazioni della dignità umana, che lo posero davanti ad una scelta: voltarsi dall’altra parte, fare la sua galera e con un silenzio complice, guadagnarsi la “buona condotta”. Oppure parlare, denunciare e schierarsi dalla parte della verità, anche a costo di giocarsi la sua possibilità di uscire il prima possibile.

rachidContro ogni logica di opportunismo, scelse la seconda strada e consapevole che nessuno avrebbe creduto alle sue parole, insistette affinché gli procurassi dei registratori vocali, ovviamente di nascosto, per poter documentare quello che agenti, medici e magistrati, gli avrebbero detto.

E’ stata solo l’ingenuità a farci sperare che delle parole registrate, sarebbero bastate a convincere la magistratura ad approfondire la vicenda: dopo quasi due anni, il 21 luglio 2016, è arrivata la seconda richiesta di archiviazione, per le denunce presentate da Rachid, ben cinque anni fa.

Sconsolata dal modo in cui la Giustizia sta reagendo alle accuse mosse da Rachid, ho pensato di rivolgermi alla società civile e religiosa di Parma, che crede nella dignità umana, che crede in Dio e che crede nella responsabilità personale.

Mi rivolgo a lei e le domando: ma a Parma è possibile fare una o più di queste cose, senza temere alcuna conseguenza?

E’ possibile che un agente di polizia si rivolga in modo maleducato e arrogante ad un cittadino, dandogli del pezzo di merda?

E’ possibile che un agente di polizia decida in modo arbitrario, di impedire l’accesso all’acqua ad un cittadino, per impartirgli una qualche lezione di obbedienza all’autorità?

E’ possibile che di fronte ad una denuncia di abusi e violenze, fatta da un cittadino, un ispettore di polizia screditi il denunciante, perché la persona accusata è un collega? E alla fine del colloquio ribadisca con orgoglio di rappresentare lo Stato, mentre il cittadino denunciante non è nessuno?

E’ possibile che dei poliziotti decidano arbitrariamente se far intervenire o meno un medico, di fronte ad una persona che sta male, perché interpretano dei rantoli di dolore, per una sonora russata, fino al punto di farlo morire?

E’ possibile avvelenare le persone di psicofarmaci?

E’ possibile per un magistrato, allertato su abusi e violenze, voltarsi dal l’altra parte e fare finta di niente, barricandosi dietro la scusa di non sapere come sono andate veramente le cose?

Non posso credere che a Parma questi comportamenti vengano accettati come normali. Ma a quanto pare sono ammessi all’interno del carcere, perché questi e altri ancora, sono i contenuti delle registrazioni fatte da Rachid e su cui la Procura ha emesso per ben due volte una richiesta di archiviazione.

Una posizione della Procura che imbavaglia tutti: Rachid, a cui viene impedita la possibilità di motivare le sue accuse; gli agenti a cui viene tolta la possibilità di difendersi e la società civile, che ha diritto di sapere come stanno le cose.

Ma intanto che cerchiamo (e lo troveremo) il modo di smuovere la Giustizia, mi rivolgo a lei, in qualità di esponente della società civile, chiedendo se i comportamenti poco professionali degli agenti , che hanno usato violenza fisica e psicologica; degli psichiatri che hanno prescritto psicofarmaci in modo indiscriminato; dei medici che hanno omesso di refertare segni di percosse e dei magistrati che si sono voltati dall’altra parte, sono secondo lei passibili, quantomeno di provvedimenti disciplinari.

Perché prima di essere imputati in un processo penale, sono lavoratori, soggetti ad un codice di comportamento professionale.

I contenuti delle registrazioni sono disponibili da anni sul mio blog, carcereverita.wordpress.com e sul canale youtube. Sapendo che nessuno ha contestato la veridicità delle registrazioni, le chiedo di ascoltarle e giudicare lei stesso
il contenuto.

Non le ascolti pensando che sono accadute in carcere, ad un detenuto. Ma le ascolti come se quelle cose fossero accadute ad un suo concittadino e se si sentirà offeso da quel contenuto e dalla doppia richiesta di archiviazione, le chiedo di prendere posizione, secondo quanto concerne il suo ruolo.

Confidando che il mio appello non sarà vano, le porgo cordiali saluti”

Emanuela D’Arcangeli

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