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Ideale, mobile, imprevedibile: la Galleria Niccoli ospita l’artista Felice Levini

Inaugurata sabato 11 novembre, negli spazi della Galleria Niccoli di Parma, la mostra di Felice Levini dal titolo ‘La volpe sa molte cose, ma l’istrice ne sa una grande’ ideata dall’artista appositamente per le sale di borgo Bruno Longhi e curata da Marco e Roberto Niccoli e Marco Scotti.
A partire dall’enigmatica frase che dà il titolo alla mostra, una citazione del poeta greco Archiloco, si rivelano alcuni elementi centrali nella poetica di Levini e in particolare nei lavori esposti: in questo progetto inedito, pensato specificamente per gli spazi della galleria, l’artista prosegue la sua ricerca tra pittorico e oggettuale, tra astratto e figurativo, in una serie di dualismi in cui il ruolo del testo è centrale così come quello dell’autoritratto.

Le citazioni e i rimandi rimangono così in questi lavori sospesi tra elementi decorativi, immaginari mitologici e riprese di elementi quotidiani, mentre la tecnica rimane un elemento imprescindibile, strettamente connesso all’idea di lentezza.

Felice Levini è una figura fondamentale nella scena artistica romana fin dagli anni Settanta a partire dalla fondazione dello spazio indipendente di Via S. Agata dei Goti nel 1978, luogo di incontro per mostre e serate di poesia gestito dagli stessi artisti. Muovendo da un clima politicamente impegnato – non a caso il 1978 è l’anno del caso Moro – Levini ha portato avanti il suo percorso artistico con alcuni riferimenti fondamentali contemporanei – Alighiero Boetti e Gino De Dominicis su tutti – e in generale della storia della pittura del Novecento quali Gino Severini, Yves Klein e Piero Manzoni, affiancando figure come Salvo e Luigi Ontani e attraversando alcuni momenti centrali della storia delle mostre del secondo dopoguerra in Italia.

Ha esposto all’interno della mostra del gruppo dei Nuovi-Nuovi a cura di Renato Barilli alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Bologna nel 1980, alle Biennali Veneziane del 1988 e del 1993, all’interno di gallerie quali Studio Cannaviello, La Salita, Massimo Minini, Il Milione, Eva Menzio, Pio Monti, Galleria Pieroni, La Nuova Pesa, A.A.M. Galleria, L’Attico, Spazio Borgogno e Ronchini, in spazi come la fondazione VOLUME! di Roma o il Museo Lauba di Zagabria, in musei quali la Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma.

Del suo lavoro si sono occupati tra gli altri Achille Bonito Oliva, Renato Barilli, Marco Meneguzzo e Bruno Corà, cercando di definire un linguaggio che ha sempre messo la pittura al centro, cercando però di rimanere sempre, come dichiara lo stesso artista, “ideale, mobile e imprevedibile”.

 

Conversazione tra il gallerista Marco Niccoli e l’artista Felice Levini:

Marco Niccoli: Quasi per interesse di categoria, vorrei iniziare questa conversazione parlando con te della persona che in un certo senso ti ha scoperto, Gian Tomaso Llverani della Galleria La Salita a Roma

Felice Levini: Diciamo che mi ha dato un imprinting forte…

MN: Cosa avviene in quel momento? è lui che ti ha cercato?

FL: Avevo vent’anni e ho frequentato la sua galleria fin dal 1976

MN: Se non ricordo male gia’ dal 1973, da sedicenne avevi iniziato a seguire la scena artistica italiana e internazionale, iniziando con Con­temporanea, la mostra a cura di Achille Bonito Oliva al parcheggio di Villa Borghese a Roma.

FL: Era qualcosa nell’aria, una curiosità condivisa da tanti artisti della mia generazione. Liverani poi lo incontrai personalmente alla fine del 1977:venne nel mio studio a vedere i lavorie mi invitò alla prima collettiva. Dopo tre, quattro mesi si ripresentò a propormi una personale,con l’invito già stampato in mano!

MN: In questo caso quindi avevi lasciato decidere il gallerista. Per questa mostra invece è stato il contrario!

FL: Si, fare la mostra del 1980 è stato prima di tutto un suo desiderio. Ne seguirono altre due, nel 1981 e nel 1984, fino alla chiusura della galleria.

MN: Una delle opere che presentiamo in mostra qui a Parma ‘lo vedo, lo sento, lo parlo’ (1982), nasce invece per la Galleria Eva Menzio di Torino (1983).

FL: Fa parte di una ricerca che stavo sviluppando in quegli anni sui supporti e materiali plastici trasparenti, e sulla tecnica attraverso questa puntinatura ossessiva. Ragionavo sull’alleggerimento, per me era come riportare la pittura in piena aria, ad una visione aerea.

MN: Dopo gli anni settanta,il concettuale e legrandi mostre romane forse c’era un desiderio di tornare alla pittura.

FL: Più che la pittura come maniera – in fondo non era mai sparita, basta pensare agli analitici- c’era la voglia diritrovare un’iconografia ,una possibile strada per riproporre unatteggiamento.Cera poi una stanchezza dovuta anche alla questione ideologica: l’arte si era stretta troppo intorno a un pensiero radicalizzato.

MN: Tornando alla nostra mostra, vorrei riguardare ora con te le opere che hai realizzato per l’occasione adesso chesono allestite qui in galleria. Per te come sono nate?

FL: lo per i miei lavori penso sempre non tanto alla collocazione – tranne alcuni casi specifici – ma piuttosto a un percorso in progress. Di questa serie di grandi tele ad esempio ne realizzo circa due ogni anno, poi con ciclicità le serie si chiudono e in contemporanea ne nascono altre.

MN: Alla fine sei contento?

FL: Di questa mostra e di questi lavori molto.
La vedo ora proprio come l’avevo pensata, togliendo e aggiungendo qualcosa lungo il percorso.Per fortuna alla fine abbiamo tolto più che aggiunto: io toglierei sempre.

 

https://www.niccoliarte.com

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