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Luca Ariano: il poeta trapiantato a Parma di “Ero altrove”

di Francesco Gallina 

 

Lombardo DOC trapiantato a Parma, Luca Ariano è poeta, ma soprattutto famelico lettore di poeti dei cui versi e poetiche si sazia.

In Ero altrove, pubblicato nel 2015 dalle Edizioni Le Voci della Luna per la collana Poesia con una postfazione di Salvatore Ritrovato, Ariano porta in scena l’epica del quotidiano che ha per protagonisti – per parafrasare Nietzsche – umani troppo umani. Uomini comuni, che boccheggiano entro una soffocante, monotona e mediocre metafisica basso-padana costantemente sfumata dalla nebbia, battuta dal temporale e percossa da “un vento […] che sradica grondaie”.

Dietro questi paesaggi puntellati da «bus vuoti e strade deserte», desolate lande stuprate da gru, discariche e colate di palazzi, “fogne schiumanti” e “lumi d’inceneritori / e outlet”, si scorgono “fondi neri, / fabbriche delocalizzate, sub-sub appalti, / giornalisti uccisi… squadrismo mediatico”. Nascosto “tra i viali che trasudano azoto”, sembra quasi di scorgere il Pasolini del Pianto della scavatrice e intravedere, tra “albe fumanti” e “mura pronte a crollare”, le orme dei poeti che costruirono di decennio in decennio quella che Anceschi definì la Linea Lombarda, che schiuse le intestine milanesi e lombarde in un’ottica antiretorica e antieroica che fa del verso narrativo un suo emblema. Anti-epica, appunto. Ecco allora “Il barbone del bar Monza” che “ciondola tra una chiesa razionalista, / bancomat e banconi da bere”; ecco emergere “urla ubriache in bar disoccupati”; ecco la luna farsi “una julienne in un’aria soffritta” (forse un eco di Lucini, che descrisse la luna una “tegghia di ottone a friggervi i capricci di Diana”).

Il paesaggio cambia forma, peggiora, si deforma e deforma il sentimento di chi vi trascorre l’esistenza e sa, come Fiulin – dietro cui si cela Ariano –, che dietro alle diaboliche conurbazioni si celano ancora, ben nascoste, le radici degli antichi. Grandi eredità che sembrano dissolversi nella foschia. Accanto allo scheletro della gloriosa Civiltà che fu, viva e vegeta resta una lingua varia e multiforme: il pastiche la fa da padrone, passando dall’italiano standard ai dialetti, dal francese al catalano al greco. La lingua è viva, come la poesia e il poeta, ben consapevole dell’effimero che – purtroppo sempre più – coinvolge la parola poetica: “Il poeta è morto per un colpo al cuore / sulla panchina impersonale d’un aeroporto: / su un foglio appunti per una poesia, / forse persi da un medico legale o in un cestino / con il primo turno delle pulizie”.

E allora, benvenuto su «Il Caffè Quotidiano», Luca!

Raccontaci il concepimento e la gestazione di questo romanzo in versi.

Dopo l’esperienza di Bitume d’intorno del 2015 sentivo l’esigenza di cambiare un po’ stile e di trovare nuove strade e, probabilmente influenzato dalla lettura di Bertolucci (quello de La camera da letto) e di Pagliarani de La ragazza Carla, ho deciso di scrivere, o almeno di provare, un romanzo in versi con personaggi seguendo le loro vite intrecciandole a vicende del passato e del presente. Nel 2010 è così uscito il primo capitoletto intitolato Contratto a termine. Nel 2012 io e Carmine de Falco abbiamo scritto I Resistenti a quattro mani che è una sorta di intermezzo, sempre coi personaggi e nel 2015 ho pubblicato Ero altrove.

 

Avendo tu origini lombarde, nato nella patria di Lucio Mastronardi, non posso non chiederti quale rapporto hai con i poeti della Linea Lombarda e quali consideri più significativi per la tua poesia.

Ho sempre amato molto i poeti della Linea Lombarda di anceschiana memoria; il mio preferito è sicuramente Vittorio Sereni, ma non posso trascurare la passione che ho avuto e che ho per Giovanni Raboni, il Raboni de Le case della Vetra ma anche per Giorgio Orelli e Luciano Erba da cui ho forse preso una certa ironia in taluni passaggi delle mie poesie. Anche il Giovanni Giudici de La vita in versi è stata una lettura molto importante.

 

La lingua è uno degli aspetti più interessanti del tuo lavoro poetico e peculiare cifra stilistica. Perché hai scelto lo stile del pastiche? Ti ha ispirato qualche autore in particolare?

La lettura di tutto Gadda, fatta per un  esame universitario, mi ha sicuramente colpito molto; ho deciso, anche se probabilmente è venuto di conseguenza, di scrivere usando commistioni linguistiche, in quel determinato periodo, con quei determinati personaggi e storie per allargare un po’ gli orizzonti della realtà, nel senso che ogni personaggio si porta dentro un bagaglio di vita vissuta che esprime attraverso una sua lingua, così come la realtà, sfumata, non può, secondo me, essere descritta in una sola forma.

 

Poeti laureati, cantautori e persino cantautori laureati (penso a Vecchioni). Ero altrove è ricco di citazioni (in testo o in esergo) degli autori più svariati, da Svetonio a GhiannisRitsos, passando per Shakespeare e gli spot Barilla. Quale ruolo affidi alla citazione?

Amo molto le citazioni, non certo per fare chissà quale sfoggio di cultura, ma perché spesso versi, poesie, passi  dicanzoni, mi hanno ispirato o comunque fatto elaborare, a loro volta, poesie, idee, ecc.  Quindi citarli, per me, è ricordare un po’ il flusso creativo o la scintilla che ha fatta scoccare l’ispirazione.

 

Il paesaggio che descrivi è un spersonalizzato, misero e costellato di non-luoghi. Nella descrizione di questo spazio ti sei ispirato a qualche opera letteraria o, più in generale, artistica?

Opereletterarie, come dicevo sopra, La camera da letto e La ragazza Carla, non tanto dal punto di vista del paesaggio, ma dal punto di vista dell’opera. Io mi sono limitato a descrivere il paesaggio in cui ho vissuto (quello lombardo della Lomellina e di Vigevano) e quello in cui vivo (emiliano di Parma). Forse Testori, il Testori narratore mi ha influenzato molto.

 

Quanto c’è di te in Fiulin? Gli altri sono personaggio inventati o realmente esistiti?

Fiulin sono o potrei essere io, ma non sempre fa cose, o meglio, dice cose che direi io. A volte può essere un mio alter ego, ma poi va un po’ per la sua strada come tutti i personaggi letterari che uno crea. Lo stesso discorso può essere fatto per gli altri personaggi che, in parte, sono ispirati alla realtà, ma poi camminano per la loro strada, seguono vite molto romanzate ed inventate.

 

Pochi mesi fa hai presentato una raccolta di poesie pubblicate su «Atelier» tratte dall’inedito Damnatio memoriae, che è il sequel di Ero altrove, un prolungamento che è destinato a dare nuovi frutti in futuro. Come sta evolvendo il tuo stile e la tua poetica?

Piano piano sto abbandonando i miei personaggi, ovvero, non li faccio né morire, né sparire ma semplicemente rimangono nello sfondo e compaiono ogni tanto, sempre di meno. Non perché non creda più nel romanzo in versi che ho creato, ma perché mi piace sempre cercare nuove strade così come feci un decennio fa. Forse un giorno li riprenderò, forse li lascerò in sospeso in una sorta di limbo. Fiulin semplicemente guarda la realtà con altri occhi ed incontra altri personaggi che non sempre hanno un nome, ma sono lì accanto come fantasmi di questa indecifrabile epoca che, forse, solo la poesia può descrivere così.

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