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Mafia, sequestrata azienda che ha fatto la Tangenziale Sud. L’ombra di Messina Denaro sulla nostra città?

Sequestrati beni per 20 milioni di euro a Vito Tarantolo, imprenditore che secondo il Tribunale di Trapani risulta legato a Cosa Nostra.

Tra i beni sequestrati anche il patrimonio della società Cogeta, aggiudicataria nel 2011 dell’appalto Anas per i lavori di rifacimento della tangenziale di Parma nel tratto compreso tra la rotonda di via Spezia e il Campus universitario per un valore di circa un milione di euro.

Il processo a suo carico era iniziato nel 2012 a seguito del sequestro arrivato al termine delle indagini della sezione anticrimine della Questura di Trapani e della Guardia di Finanza. Tarantolo, già arrestato nel 1998 nell’operazione Rino 2, è ritenuto essere in contatto con le alte sfere della mafia di Trapani e Palermo.

Per lui già da gennaio il tribunale di Trapani aveva richiesto la sorveglianza speciale.

Un imprenditore che non si è mai discostato dai vertici della cosca trapanese e che ha agito al fine di nascondere il proprio patrimonio per evitare il sequestro che alla fine è arrivato ugualmente. Sequestro ora tramutato in confisca.

Una confisca che sfiora i 20 milioni di euro. Si tratta di Vito Tarantolo, originario di Gibellina, trapanese di adozione. Nel 1998 fu tra gli arrestati dell’operazione antimafia Rino 2, ha patteggiato un’accusa per favoreggiamento evitando l’aggravante di aver favorito l’associazione mafiosa, ma indagini successive hanno dimostrato che la contiguità con Cosa nostra anziché venire meno si è rafforzata.

Affari, appalti e mafia. Il sequestro di beni proposto da Questura e Finanza ha adesso ricevuto il sigillo del Tribunale delle misure di prevenzione che ha revocato solo alcuni dei sequestri preventivi operati, una villetta a Favignana, la casa di abitazione, alcuni terreni, e alcuni beni intestati a terzi, ma il grosso del sequestro è stato ritenuto fondato su prove inoppugnabili. Nel mirino sono finiti alcuni appalti pubblici, condotti a Mazara, quelli presso l’aeroporto di Palermo, attraverso i quali per i giudici si è sviluppato ulteriormente i rapporti con i capi mafia di Trapani e Palermo, Vincenzo Virga, Francesco Pace e i Lo Piccolo, “il ricongiungimento ai vertici della cosca trapanese si riscontra – scrivono i giudici – nell’ assunzione di compartecipazione in società per una speculazione edilizia”, la società è il Melograno, dove il capo mafia di Trapani Vincenzo Virga lo ha utilizzato come prestanome, affare proseguito anche dopo l’arresto di Virga con una speculazione i cui tentacoli sono arrivati fin dentro una banca pugliese, ad Alberobello.

I giudici hanno fatto emergere come sebbene il Tarantolo in periodo successivo al suo arresto e alla condanna risultava estraneo a una serie di società interessate anche in questa speculazione, come la Sgm e la Cogeta, di fatto si palesava come unico manovratore, contrattando con banche e acquirenti delle villette realizzate, “Tarantolo, attraverso prestanomi, perpetua la sua attività di direzione delle sue società”. E ancora nel ricostruire le reti di rapporti, per il Tribunale “è risultato funzionale agli interessi della struttura criminale mafiosa…Nel concreto Tarantolo è risultato in rapporti con il Virga, e con il suo vice, Genna, e catturato il primo, non esita a interfacciarsi con Pace Francesco, reggente della predetta famiglia, per aggiudicarsi i lavori in nome di un patto criminale con il sodalizio mafioso, consolidatosi nel tempo, da cui sono derivati reciproci vantaggi, sia per le attività del Tarantolo, sia per l’associazione mafiosa”.

A Trapani può accadere che un imprenditore arrestato per mafia, che decide di ammettere le colpe e svelare il sistema delle commistioni, che rifiuta un programma di protezione e chiede di potere continuare a lavorare anche per riscattare le malefatte di prima, l’ex patron del Trapani Calcio, Nino Birrittella, viene guardato un po’ da tanti come un “untore”, uno del quale diffidare, la società non gli concede nulla, la stessa società che prima però lo omaggiava di tanto rispetto, riconoscendone quindi lo spessore mafioso, di “ntiso”. A Trapani può accadere che un altro imprenditore, Vito Tarantolo, che viene arrestato, rende dichiarazioni nella misura giusta, limitata, senza fare danni (e a dirlo saranno gli stessi “compari”) per accedere ad un patteggiamento, possa tornare tranquillamente a fare impresa, a interessarsi di appalti pubblici, costruzioni, cantieri privati, con società nelle quali il suo nome non compare più, ma a contrattare, “alla luce del sole” è ancora e sempre soltanto lui, lui gira nei cantieri e per gli uffici, e nessuno si pone problemi, d’altra parte l’andazzo è questo, non è quell’altro.

Tra gli episodi accertati quello per esempio relativo ad un appalto di 2 milioni e mezzo di euro per la costruzione della recinzione all’aeroporto Falcone e Borsellino di Palermo. La Polizia ha acquisito uno scambio di pizzini tra Messina Denaro e gli allora boss latitanti Lo Piccolo per la classica “messa a posto” per questi lavori. E ancora ha intercettato il capomafia Francesco Pace parlare di Tarantolo che gli avrebbe chiesto come doveva comportarsi, “…a Palermo c’è qualcuno di voi o ci sono problemi?”, e ricevere la risposta “certo qualcosa ai palermitani va data…devi lasciare la percentuale”.

Società controllate da Tarantolo ma non intestate allo stesso avevano cantieri aperti a Parma sulla tangenziale, o ancora al porto di Castellammare del Golfo, a Montemaggiore Belsito (Palermo), riqualificazione urbana, all’interno della base aerea del 41° stormo di Sigonella, per citare quelli più importanti, in totale si tratta di opere pubbliche per oltre 50 milioni di euro, gestiti dalla metà degli anni 2000 sino ad oggi.

Tutti lavori pubblici per i quali le imprese e le società dell’imprenditore Tarantolo hanno ottenuto la certificazione antimafia perché non c’era più lui a risultare come titolare o amministratore, erano usciti di scena anche i familiari, la moglie e le figlie, in passato intestetarie di quote, erano entrati in scena altri soggetti, perfettamente consapevoli di come stavano le cose e chi avrebbe continuato a comandare. Agli atti dell’indagine è stata acquisita l’intercettazione di un colloquio tra due boss mafiosi di Mazara, parlavano di un appalto nella loro città, la costruzione di un ponte, appalto bandito dalla Provincia di Trapani, e si meravigliavano che l’impresa non avesse pagato nulla, uno poi spiegava loro quello che era successo, “quella è l’impresa del boss Virga”. Parlavano proprio di una delle imprese di Tarantolo, la Cogeta, e confermavano che anche quando la relativa vicenda giudiziaria per l’imprenditore si era conclusa, proprio relativa ai legami con Virga, per questo aveva patteggiato la condanna per l’arresto patito nel 1998, quei legami non erano stati recisi. Per gli investigatori che hanno scritto il rapporto a sostegno del sequestro preventivo, “quei legami si erano alzati di livello fino ad arrivare a Matteo Messina Denaro”.

Il boss tiene molto a Tarantolo tanto che non tarda a fare arrivare un suo messaggio a mafiosi di Gibellina quando a questo imprenditore un giorno rubarono dei mezzi meccanici. Il rimprovero usato nei confronti di chi avrebbe commesso quel furto è di quelli che la mafia utilizza quando si tratta di punire “sgarri”: “a Vito gli hanno preso due escavatori…non ti devi fermare più davanti di me… non ti dovrebbe fare vergogna?… questo che gli hanno preso gli escavatori… quando sei uscito di galera ogni mattina ti veniva a prendere con la Mercedes…noi siamo amici…ci dobbiamo rispettare”. I

l tribunale per le misure di prevenzione, presidente Messina, ha disposto oltre alla confisca dei beni anche la misura della sorveglianza speciale per tre anni e l’obbligo di dimora nel comune di residenza.

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