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Carceri: una questione di civiltà – Il consigliere Freddi in sciopero della fame in difesa dei diritti civili

di Titti Duimio

Settimo giorno di digiuno per il consigliere comunale Marco Maria Freddi di +Europa, eletto nelle fila della maggioranza con Effetto Parma e recentemente passato all’opposizione nel Gruppo Misto dell’amministrazione cittadina, che da sempre mette i diritti civili al centro della sua battaglia politica.

E lo fa anche in tempi di Covid ‘per riaffermare l’importanza della militanza, la militanza per la libertà, la democrazia e lo stato di diritto’ come si legge nella nota stampa diffusa da Freddi che ha iniziato il digiuno per chiedere al Ministro e alle Istituzioni di intervenire per far fronte alla situazione drammatica e illegale delle carceri.

“È tale il non rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto in questo Paese – in costante campagna elettorale – che Istituzioni e classe politica ritengono di essere autorizzati a far ammalare di Covid19 i detenuti nelle carceri e nonostante ci troviamo nel mezzo di una seconda ondata pandemica e il numero di contagi – tra detenuti e agenti penitenziari – è in costante aumento, le istituzioni italiane e il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede rimangono colpevolmente immobili.” prosegue la nota di Freddi.

Una richiesta di ascolto e di dialogo e non una protesta quella dell’esponente cittadino di +Europa che ormai quasi da una settimana va avanti a 3 cappuccini al giorno per dare visibilità ad un tema politico e culturale da sempre caro all’ex gruppo radicale, quello della situazione carceraria nel nostro paese reso ancor più impellente dall’emergenza Covid-19 degli ultimi mesi.

Consigliere Freddi innanzitutto come sta?

Comincio ad accusare la debolezza e il senso di affaticamento, ormai. Non è la prima volta che metto in atto il digiuno come forma non violenta di richiesta di dialogo e nonostante conosca bene tutti gli step ogni volta è sempre difficile gestirne le conseguenze, ma spero ne valga la pena e che serva a dare voce ai diritti civili dei dimenticati che popolano le carceri italiane, un atto estremo per portare l’attenzione su temi sociali indispensabili quando tutti i tentativi di dialogo sono falliti.

Entriamo nel merito della sua iniziativa non violenta..perché questa scelta?

Da tempo noi radicali denunciamo la situazione inumana delle carceri italiane come indice del grado di civiltà di un paese, e il covid ne ha evidenziato ancora di più le criticità legate alla sovrappopolazione negli istituti di pena.
Oltre 700 detenuti ammalati di covid e altrettanti poliziotti penitenziari oggi in Italia secondo gli ultimi dati, che sembrano confermare la tendenza ‘vendicativa’ dello stato verso chi ha sbagliato, disattendendo persino i dettami della nostra Costituzione che prevede la pena riabilitativa e non punitiva.
Per inciso: statistiche recenti confermano che il 70% dei detenuti in carcere tornano a delinquere contro il 20% di quelli che hanno scontato pene alternative, sottolineando, forse, che il sistema punitivo è ampiamente fallito.

Al netto di una minoranza di delinquenti veri e propri, la stragrande maggioranza della popolazione carceraria è composta da ‘sfigati’, ‘poveri figli di poveri’, come li definiva Pasolini, che delinquono per necessità e per incidenza ambientale, gente senza tutele che se riabilitati possono intraprendere cammini più proficui.

8 miliardi all’anno sono i costi delle carceri in Italia, soldi che se impegnati nel sociale e nelle politiche alternative produrrebbero risultati sicuramente migliori anche per l’intera comunità connotando il nostro paese ad un grado di civiltà leggermente più alto.

Mi sembra che nella sua azione non violenta ci sia anche un’altra denuncia sempre inerente la situazione carceraria. Qual è?

Ritengo vergognoso che il uno stato di diritto vengano tenuti in carcere i bambini di mamme condannate, imponendo loro una pena per reati mai commessi solo perché nascono dalla parte sbagliata della storia.
Oggi ci sono ancora 33 bambini detenuti illegittimamente in Italia con le loro madri e mi chiedo come uno stato avanzato e democratico non riesca a trovare una collocazione alternativa per queste persone, infliggendo danni a volte irreversibili su minori incolpevoli.

Nel 2015 ero con l’allora ministro della Giustizia Orlando nel carcere di Rebibbia e davanti a questa situazione giurò che entro l’anno nessun bambino sarebbe più stato costretto a subire questa ingiustizia, ma a oggi nessun provvedimento è stato ancora preso e io mi indigno.

Nel settembre 2018, su Twitter, sempre Andrea Orlando scrivendo del ministro Alfonso Bonafede afferma: “E’ sicuro che per non avere più bambini in carcere basta approvare la nostra riforma dell’ordinamento penitenziario”…

Comprendo che il coraggio dell’assunzione di responsabilità di scelte politiche scomode non è per tutti, ma accettare l’idea di avere ancora un solo bambino in carcere è vergognoso ed intollerabile, intollerabile soprattutto per chi, come noi, della società hanno una visione aperta e laica. E mi chiedo:

Perché nel 2020 ci sono ancora trentatré bambini in carcere?

Perché in Italia ci sono bambini che crescono in carcere?

Quel è la loro colpa?

Lei cerca un dialogo con le istituzioni preposte, ma ha trovato appoggio nel mondo politico? Voglio dire, la sua proposta rientra in una visione di cultura politica, ma è un’idea condivisa?

No. Devo dire che i miei referenti politici sono tutte quelle forze che si identificano nello schieramento progressista ma spesso sono compagni di viaggio ‘timidi’, come li definisco io, e preferiscono inseguire la pancia degli elettori in un’eterna campagna elettorale piuttosto che impegnarsi in temi impopolari ma basilari per una visione di società aperta e civile che lotta con le unghie e con i denti per i diritti sui quali si costruiscono progetti visionari per un futuro condiviso più giusto.

Nessun appoggio?

È una settimana che porto avanti questa azione non violenta su un tema che dovrebbe essere condiviso con chi si proclama interprete di una società aperta e progressista e invece neanche una parola non dico di condivisione ma neanche di solidarietà da nessuno.

Dove sono i valori comuni di rispetto e dignità di uno stato di diritto sbandierati a parole ma non supportati da gesti concreti? Qual’è l’analisi culturale di un paese che si è arreso a logiche di propaganda perenne in cui il politico insegue il sentire dell’elettore invece di proporre? Manca un’idea complessiva di cultura politica attorno alla quale costruire il consenso dei cittadini invece di inseguirlo.

E a livello locale credo ci sia bisogno di un cambiamento sentito e condiviso con tutte le forze politiche che si riconoscono nell’area progressista alle quali propongo due atti concreti: una misurazione sistematica e scientifica dei servizi proposti alla città per valutarne la reale efficacia senza autocelebrazioni, e le assemblee deliberative cittadine per discutere e creare proposte e soluzioni sui temi locali in modo partecipato e condiviso per riavvicinare i cittadini alla politica e sentirsi decisivi su temi che li riguardano quotidianamente. Questo vorrebbe dire conquistarsi il consenso vero dell’elettore su fatti concreti che riguardano la collettività, concetto lontano dalle attuali logiche politiche.

Si riferisce anche a Parma e alla politica cittadina?

Certo. Un esempio locale per tutti: il restyling della Cittadella, di grande attualità, che avrebbe dovuto essere progettato insieme  a chi vive il parco cittadino, a chi lo frequenta e lo inventa ogni giorno invece di imporne una soluzione calata dall’alto.

 

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