Siamo morti un po tutti, noi che ora ci indigniamo, ci stupiamo, ci interroghiamo. Peggio ancora noi che da un mese abbondante curiosiamo sul profilo di Chiara Petrolini, perchè il nome è noto dal giorno dopo il ritrovamento del primo corpicino, anche se abbiamo fatto finta di non saperlo – perchè faceva brutto scriverlo.
Siamo un po tutti colpevoli, se non morti. Noi che abbiamo troppa fretta per non usare il cellulare mentre guidiamo, per far attraversare i pedoni, per rispettare i limiti di velocità e le esigenze delle altre persone. Noi che documentiamo sui social pure come dormiamo, ma di sociale non abbiamo più nulla.
Dell’uomo di Aristotele, l’anima sociale, appunto, ci rimane solo l’animale social. Quello che bestemmia rutta insulta in diretta mondiale. Quello che non ha amici, se non virtuali. Quello che non sa distinguere bene e male, e va negli IUSA dopo aver ammazzato suo figlio.
In una società che ha legalizzato (vivaDDio, qualunque Dio sia) l’aborto da decenni, in una società che contempla culle per la vita e affidi senza censimento della madre, una 22enne ha scelto di uccidere. Probabilmente, due volte. Due situazioni analoghe, la stessa via di fuga.
Ed ora, invece di chiedersi perchè, ci poniamo il problema del come. Ma è così rilevante se è stata aiutata o meno? Sul piano penale si, ma su quello morale e sociale che cambia?
Dire verità o bugie è uguale, ormai. Come non pagare una multa, drogarsi per noia, assumere in nero, prendere in giro il prossimo convinti di essere sempre i più furbi. E abbiamo perso tutti. Genitori, figli, educatori, insegnanti, giornalisti, sociologi. Perchè la società che mette una 22enne in condizione di ammazzare e seppellire due figli, ha fallito a monte.
E poco importa se padre e nonna paterna avrebbero tenuto il bambino, se Chiara si era lasciata da poco, se era un’ottima babysitter e pure una studentessa di legge.
Sarebbe importante capire perchè. E se non ce lo chiediamo, siamo già morti tutti. Ma ancora non lo sappiamo.