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Lezione di giornalismo di guerra (e non) al Festival della Parola: “la credibilità e la qualità vincono sempre”


di Titti Duimio 


‘Testimoni di guerra’ il titolo dell’incontro di ieri sera del Festival della Parola alla pergola della Corale Verdi.

Ospiti della serata Gabriella Simoni telegiornalista Mediaset, Sandro Capatti fotoreporter per Ansa e altre agenzie e Daniele Piervincenzi già Rai2 e inviato di guerra in Ucraina de la7 (quello della ‘capocciata’ di Roberto Spada a Ostia, per intenderci).

Moderatore Pierluigi Senatore giornalista per numerose testate giornalistiche con servizi su Madagascar, Cambogia, Nicaragua, tra i profughi del Saharawi in Algeria, sulla guerra nella ex Jugoslavia e sulla tragedia di Chernobyl.

Perché si racconta la guerra? Per esigenza di esserci là dove succede, per l’urgenza di raccontare il presente, per la consapevolezza che la cronaca di oggi domani sarà storia o forse solo per provare a capire che oltre la propaganda esiste una quasi verità da cercare.

“Esistono tante guerre da raccontare, quelle militari con le armi e le divise- dice Sandro Capatti- ma anche quelle quotidiane di civile inciviltà negli ospedali, nelle carceri o nel tessuto sociale pervaso dalla criminalità organizzata come ha fatto Letizia Battaglia con i suoi memorabili scatti.

Dentro a un evento in continuo movimento vivono le persone e è nel particolare del loro sguardo e dei loro gesti che si può cogliere un possibile momentaneo frammento di verità e fissarlo per offrirlo al pubblico con la potenza dirompente di un’immagine”

“Il rapporto col pubblico è sacro-sottolinea Gabriella Simoni reduce da 80 giorni di guerra in Ucraina come inviata Mediaset-e ‘rovistare’ tra propaganda inevitabile e improvvisazione rende autentico il racconto. Per trovare la storia bisogna studiare e conoscere, bisogna trovare il precario equilibrio tra una quasi cinica distanza e una partecipazione empatica con chi vive quel dramma.

Oggi la tecnologia ci offre la possibilità di essere dentro la guerra con immagini continue e diffuse capillarmente ma c’è sempre bisogno di un racconto profondo e comprensibile per chi è qua e vuole sapere attraverso un punto di vista che deve esserci.

Ecco, il punto di vista fa la differenza e crea la credibilità al di là dei facili click, essere onesti, informati e credibili funziona per informare correttamente. Parole sensate, immagini pensate e racconto consapevole, quindi” conclude la Simoni.

E forse è una ricetta universale per tutti i campi del giornalismo e non solo quello di guerra.

“L’overdose di immagini ha creato solo confusione anche a noi che eravamo sul posto- aggiunge Daniele Piervincenzi- se sei a Kiev puoi raccontare il frammento che vedi ma non potrai mai verificare le immagini che ti arrivano e conoscere la realtà del momento nel Donbass, per dire, a migliaia kilometri.

Partire dalle cose semplici, fidarti solo di quello che vedi e aggiungere una tessera all’immenso puzzle senza la pretesa di raccontare tutto, sono per me regole indispensabili: capisco e spiego solo quello che vedo e vivo evitando ‘pastoni’ in cui si rischiano clamorosi errori come è successo ieri, per esempio, quando i giornali hanno riportato la notizia di un bombardamento su Odessa ma che in realtà era un attacco a 80 kilometri dalla città nell’oblast di Odessa ovvero nella regione. L’errore nella frenesia iniziale di questa guerra è stato quello di cercare sempre notizie eclatanti invece di rincorrere quelle responsabilmente puntuali”

“Come si convince la gente a credervi e a fidarsi del vostro punto di vista?” chiede Pierluigi Senatore ai suoi ospiti.

“Non credo sia più possibile- risponde per primo Piervincenzi- di questa guerra abbiamo raccontato schegge di verità incontrovertibili, eppure qualcuno puntualmente le metteva in dubbio per smentire la loro veridicità con teorie di un fantomatico complotto a favore degli ucraini. Non è così, io vorrei poter raccontare quello che succede nel fronte russo ma per ora sembra impossibile poter cercare liberamente storie di verità da quella parte senza essere affiancati da uno ‘spione’ che impedisce la ricerca e l’informazione. Esiste troppa gente che non cerca il confronto ma solo lo scontro e non vuole sapere la verità, non si mette in dubbio ma cerca solo la conferma delle proprie idee”

E anche questo forse succede in tanti campi dell’informazione che si schiera a favore di una tesi piuttosto che dalla parte del dubbio e dell’ascolto della competente realtà dei fatti.

“Vero, ma io vado avanti per la mia strada convinta che un racconto coerente e serio sia l’unico strumento per essere credibili e fare bene il nostro mestiere. La gente è più intelligente di chi comanda e prima o poi si accorge di chi bluffa. Un esempio di questa guerra: ‘Kharkiv rasa al suolo’ in tutti i titoli di giornali. No, Kharkiv non è rasa al suolo, è una città ferita, con la distruzione di alcuni palazzi simbolo e con un quartiere sulla linea di attacco russo bombardato quotidianamente che è già abbastanza drammatico da raccontare senza aggiungere il clamore di una notizia  eclatante per scopi diversi dalla verità, ma se noi diventiamo la rappresentazione di noi stessi e non siamo noi stessi alla fine appariamo finti e la cattiva informazione ci rende ciechi, sordi e privi di parola” chiude Gabriella Simoni.

“Studiare leggere molto e andare a cercare storie immergendoti completamente nelle persone vere protagoniste della realtà, questa è la mia strada da sempre” dice Sandro Capatti

Coerenza, conoscenza dei fatti, studio, competenza e onesta serietà fanno dunque la differenza tra una buona informazione e il facile click spettacolare fine a se stesso. Lì, tra la professionalità delle parole e l’approssimazione di un titolo clamoroso, sta la crisi di credibilità del giornalista che ha l’obbligo di raccontare storie vere e non quello di adattare la verità a storie preconfezionate.

“Alla fine la qualità vince sempre” come afferma Gabriella Simoni?

Ma questa è un’altra storia.

Tra i protagonisti dell’incontro GABRIELLA SIMONI.

Da oltre 30 anni inviata speciale nei teatri di guerra per le reti Finivest, nel 1991, allo scoppio della prima guerra del Golfo, è stata in Iraq, e fatta prigioniera di Saddam Hussein per otto lunghi giorni. Dal 1992 al 1994 ha seguito la guerra in Somalia dove ha assistito all’omicidio della collega Ilaria Alpi mentre nel 1996 si trova in Ruanda.

Nominata cavaliere dell’Ordine al merito della Repubblica italiana da Carlo Azeglio Ciampi per il coraggio e la professionalità dimostrati, ha vinto il premio Ilaria Alpi e il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, oltre a diversi altri premi. Si occupa anche di cronaca nera: è stata inviata a Brembate, per il programma di Studio Aperto Live, condotto assieme alla collega Stefania Cavallaro, per l’omicidio della piccola Yara Gambirasio.

Inviata storica di “Studio Aperto”, partecipa attivamente alla realizzazione di dossier e speciali, prediligendo argomenti esteri, tra cui “Prima linea” e “l’età negata” in collaborazione con Giorgio Medail. Partecipa al primo esperimento di notiziario quotidiano sulle reti Fininvest “Dentro la Notizia” e collabora successivamente nella realizzazione del settimanale d’informazione «Cronaca». Insieme a Giovanni Porzio ha fatto rimpatriare i corpi di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Con lui ha anche scritto per Mursia Inferno Somalia, uscito nel 1993.

Da sempre in prima linea sui fronti più caldi, oggi è impegnata su quello ucraino.

 

www.festivaldellaparola.it

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