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‘L’emergenza di scrivere’: tracce di quotidianità ai tempi del Covid-19-Sesto racconto


L’associazione Intesa San Martino con la sua Biblioteca Sociale Roberta Venturini, mette a disposizione degli iscritti uno spazio in cui raccogliere riflessioni, pensieri, racconti, idee e paure nel periodo di isolamento imposto dall’emergenza sanitaria.

Un’urgenza di far sentire la propria voce nel silenzio scelto dalla città che continua a vivere.


UNA CONVIVENZA IN FAMIGLIA

di Daniele Gippetto

Da quando il Coronavirus è arrivato in Italia, le vite di tutti noi sono cambiate notevolmente. La quarantena nazionale annunciata il 9 marzo ha cambiato le nostre abitudini, le attività e il modo di trascorrere le giornate, che da un mese a questa parte sembrano inevitabilmente essere più lunghe del solito. Quel tempo libero che solitamente cerchiamo di ritagliarci durante le settimane (spesso con scarsi risultati), adesso abbonda e quasi non sappiamo più che farcene.

Tra chi sta trascorrendo queste settimane solo, chi con il/la partner e chi in famiglia, le storie da quarantena sono tante. C’è anche chi, come me, da studente fuori sede è tornato a casa dalla propria famiglia. No, non preoccupatevi: non ero tra quelli che sono fuggiti nella notte in un Intercity, anche perché il solo pensiero di riaffrontare uno di quegli interminabili viaggi della speranza mi avrebbe sicuramente frenato dal farlo… Il mio viaggio, che nei programmi avrebbe dovuto essere una breve pausa per staccare la spina, si è improvvisamente trasformato in una permanenza a tempo indefinito nella mia Palermo.

Casa dolce casa insomma. Sono da quasi 3 anni uno studente fuori sede e durante l’anno ho l’occasione di tornare al Sud solo per brevi periodi, spesso coincidenti con le vacanze estive e natalizie. Rivedere gli amici di sempre e tornare dai propri genitori è sempre una grande gioia. Eppure, la quarantena mi ha dato il tempo di riflettere su un aspetto, una situazione vissuta in queste ultime settimane.

Capita che tornare nella propria casa qualche volta provochi in me delle sensazioni ‘strane’, causi una sorta di confusione. Nulla di negativo sia chiaro, solo un discorso di abitudini. È assodato che abitando lontano da casa si crescamolto e più in fretta: si diventa più responsabili, si impara a prendere decisioni importanti in completa autonomia e ci si abitua sempre di più a cavarsela da soli. Tutto questo in casa sembra un po’ dimenticato, tutta l’indipendenza di cui andavo tanto orgoglioso sparita. Si torna ad essere ‘il piccolo di casa’, con la mamma che prepara il pranzo e la cena, che lava i vestiti, che cambia il pigiama e le lenzuola, che mi raccomanda di non andare a letto tardi. Una situazione che col passare degli anni sembra sempre meno naturale ai miei occhi da non più bambino. Si torna a dormire nella stessa stanza ancora piena dei peluche con cui giocavo da piccolo e che ormai hanno qualche strato di polvere addosso. Qualche volta ricevo ancora il bacio della buona notte, ma adesso la mia guancia ha qualche pelo di barba in più. Poi tornerò a casa, a Parma, e in un giorno passerò da tutto questo a dover andare a fare la spesa, pulire casa, preparare da mangiare e fare il bucato. Mi sembreràquasi di aver indossato una maschera pirandelliana a casa con i miei, di aver cambiato identità in poche oreadattandomi alle circostanze. Quasi surreale.

Capita anche di arrabbiarsi, di perdere la pazienza, di rispondere sgarbatamente qualche volta. Sento il bisogno dei miei spazi, forse amplificato dal dover stare in casa. Mi lamento dell’atteggiamento troppo pressante dei genitori. Ho voglia di tornare alla mia routine (sì, anche di tornare alle faccende domestiche). Ho voglia di tornare a casa per riacquisire la mia indipendenza. Mi sfogo insomma.

Poi, però, mi chiamano dalla cucina.

La cena è pronta.

Hanno preparato il mio piatto preferito.

 

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