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‘L’emergenza di scrivere’: tracce di quotidianità ai tempi del Covid-19


L’associazione Intesa San Martino con la sua Biblioteca Sociale Roberta Venturini, mette a disposizione degli iscritti uno spazio in cui raccogliere riflessioni, pensieri, racconti, idee e paure nel periodo di isolamento imposto dall’emergenza sanitaria.

Un’urgenza di far sentire la propria voce nel silenzio scelto dalla città che continua a vivere.

 

DEPRESSIONE VIRUS: INIZIA IL COUNTDOWN

 

di Manuela Melis

Quello che mi viene chiesto, oramai tutti i giorni, da amici e parenti del sud da circa due settimane è questo: “come stai? Come ti senti?”

La risposta è sempre la stessa: “sto bene.” È la veritá, sto bene. Studio, lavoro, torno a casa, chiamo le persone care, sto bene. Non ho febbre e non ho tosse, sto bene.

Non puoi mica dire a tua mamma che ti vede due o tre volte l’anno, per pochi giorni, che stai male, no? Se, invece, mi chiedete: che cosa provi? Ecco, provo rabbia, impotenza e angoscia. Perché quando sei sola in una cittá e tutti quelli che ami si trovano in un’altra, letteralmente ad un mare di distanza, che cos’altro potresti mai provare?

Passi le giornate pensando ai tuoi genitori testardi e al fatto di non poterli raggiungere per qualsiasi loro necessità.
E se lavorassi in una comunitá residenziale che accoglie mamme e bambini ma non potessi fare al meglio il tuo lavoro, cos’altro potresti provare? Un lavoro che si basa precipuamente sulla relazione con gli utenti, minato da una direttiva di distanziamento.

Quando le tue ospiti, le persone di cui dovresti avere cura, hanno bisogno di sfogarsi o di una piccola dimostrazione d’umanitá, di presenza, come una pacca sulla spalla, cosa potresti provare? Quando la bimba piú piccola riesce finalmente a fare due passi da sola, verso di te, e la gioia ti pervade tanto da desiderare di abbracciarla e stringerla forte, cosa è legittimo provare? Senz’altro gratitudine per aver vissuto quell’attimo, il quale ci ha donato almeno un misero respiro condiviso.

A malincuore mi tengo dentro quell’abbraccio, assorbo la frustrazione generale e me la porto a casa, cercando di dare loro in cambio un po’ di serenità.

Per quanto possibile manteniamo le distanze, mangiamo separatamente, usiamo i guanti come abbiamo sempre fatto. Noi, una categoria di lavoratori troppo spesso invisibile, lavoriamo anche noi per gli altri. Nonostante l’angoscia, l’impotenza e la rabbia, faccio ció che posso in quanto educatrice e una volta tornata a casa mi spoglio del peso umano accumulato al lavoro, rivestendomi del mio e ripetendomi: l’angoscia passerá, la rabbia svanirá, l’impotenza si dissolverá.

Rinizieremo a respirare a pieni polmoni senza centellinare gli attimi e i respiri di felicitá che, seppur pochi, ci stanno aiutando a mantenerci vivi.

L’attesa mi sedeva accanto nel silenzio della stanza.

Unica via d’uscita un display, cosí freddo e lontano dalla realtá.

La candela di fronte a noi ci consolava, nell’unico modo che conosce.

Mi parve di udire una risata mentre il lavabo piangeva nella camera accanto.

Cercai di correr via, ma l’attesa mi raggiunse e si strinse a me in un caldo abbraccio.

Guardai il termosifone e gli dissi: “finalmente un po’ di calore, da sola con te sarei certo impazzita.”

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