Home » Cultura&Spettacoli » Al via Wild Cities: all’Abbazia di Valserena il cinema d’autore sulla città e il paesaggio umano che la abita

Al via Wild Cities: all’Abbazia di Valserena il cinema d’autore sulla città e il paesaggio umano che la abita

 

Inaugurata ieri sera 27 giugno con grande affluenza di pubblico nella splendida cornice dell’Abbazia di Valserena la rassegna cinematografica estiva Wild Cities per il ciclo ‘Cinema in Abbazia’ che per il secondo anno consecutivo vede CSAC e Ordine degli Architetti di Parma impegnati nel racconto delle forme delle città contemporanee e delle sue trasformazioni.

Cinque incontri per cinque film in cui la città diventa centro culturale, archivio di memorie e di racconti, spazio delle relazioni, cassa di risonanza e laboratorio del tempo che scorre, cinque punti di vista selezionati selezionati con la consulenza di Silvio Grasselli, dottore di ricerca in Cinema, membro del comitato di selezione e curatore del Festival dei Popoli (Firenze), vicedirettore di DocSS – Festival internazionale del cinema urbano (Sassari). 

La rassegna è a cura di Cecilia Merighi e Daniele Pezzali per Ordine Architetti PPC di Parma.

A Cecilia Merighi, consigliere dell’Ordine Architetti di Parma abbiamo chiesto:

Per il secondo anno Cinema in Abbazia si occupa di architettura, in collaborazione con l’Ordine Architetti di Parma. C’è continuità con l’edizione del 2018?

“Abbiamo deciso di aprire la rassegna con due film di Ila Bêka e Louise Lemoine, che sono stati i protagonisti unici della scorsa edizione, con film che guardavano all’architettura in maniera inedita, cioè dal punto di vista del suo fruitore, l’uomo. Il recentissimo progetto Homo Urbanus di Bêka e Lemoine si spinge oltre, andando a osservare il comportamento umano nello spazio urbano senza alcun giudizio. I 7 film che ne fanno parte sono ambientati in altrettante città del mondo senza una narrazione, lasciando a chi guarda il compito personale di costruirne una propria. Nel corso della prima serata di Wild Cities ne abbiamo presentati due, Homo Urbanus Tokyoitus e Homo Urbanus Neapolitanus, così contrapponendo la metropoli ipermoderna e quella premoderna.”

 

Si tratta di un’osservazione di tipo più sociologico che architettonico?

”In un certo senso sì, ma preferisco dire architettonico e sociologico insieme. L’architettura non può esimersi dal prendere in considerazione l’uomo, il suo sentire, i suoi bisogni, il suo benessere. Non ci stimolava proporre film incentrati sugli oggetti architettonici in quanto tali o suoi loro progettisti, quanto restituire una visione antropologica dell’abitare urbano. Allora da un lato una città come Tokyo, sempre più snaturata, dove fiumi di persone compiono i medesimi gesti e movimenti ogni giorno, al punto da non risultare più una comunità di individui, ma quasi un unico organismo; dall’altro Napoli, che è anch’essa una grande città, ma poi ci sono angoli e spiagge in cui i comportamenti umani tornano quelli di paese.”

 

Questa rassegna è dunque pensata per tutti, non solo per un pubblico di professionisti e di tecnici dell’architettura.

”L’intento era proprio questo. Come l’anno scorso, abbiamo cercato di portare film inediti sul territorio parmense, che già conta due cinema d’essai con programmi molto ricchi e curati. La nostra idea è che l’architetto si senta incuriosito e spinto a guardare la città non più solo come somma di stili e insieme di stratificazioni storiche, a cui siamo abituati, ma come luogo dove si sviluppano le relazioni umane e i processi di trasformazione. Che in realtà è il fine ultimo dell’architettura.”

 

Cosa ci può anticipare degli altri 4 film che vedremo?

“Wild Plants, di Nicolas Humbert in rassegna il 4 luglio, racconta degli spazi interstiziali della città, quelli non progettati, in cui l’uomo cerca di contrastare il fenomeno dell’inurbamento creando occasioni di rigenerazione del verde. Rabot di Christina Vandekerckhove mette in scena una situazione in cui l’uomo subisce le trasformazioni urbane, perché racconta dell’abbattimento di un edificio di alloggi popolari che dovrà essere demolito e in cui non c’è più spazio per i suoi abitanti. Sous la douche le ciel di Effi e Amir vede invece la città come un luogo positivo in cui i cambiamenti possono avvenire dal basso e grazie alla spinta comunitaria creano dei processi inattesi e sorprendenti. Les plages d’Agnès di Agnès Varda, che chiude la rassegna, è un omaggio a una grande regista da poco scomparsa, che ha spesso guardato all’ambiente urbano in relazione all’uomo. Abbiamo scelto questo film perché meno noto del più famoso Visage Villages e perché qui la Varda riesce a portare la spiaggia in città, come a dire che la città può tutto!”

La rassegna proseguirà il 4 luglio con la prima visione italiana di Wild Plants (2016) di Nicolas Humbert.

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*