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La Bosnia “dimenticata” nelle foto di Sandro Capatti. Mostra alla Biblioteca Internazionale Ilaria Alpi

di Arianna Belloli

Inaugurata negli spazi della Biblioteca Internazionale Ilaria Alpi di Parma la mostra fotografica di Sandro Capatti, “Balcani oggi: Bosnia Erzegovina”.  Un breve percorso che catapulta in un paese dimenticato e che subisce ancora gli effetti della guerra a distanza di 20 anni. La mostra sarà visitabile sino al 23 marzo.

E’ in particolare Sarajevo il soggetto del reportage fotografico di Capatti, una città viva e culturalmente dinamica ma che porta ancora alla luce del sole le profonde cicatrici della guerra scoppiata nel 1992, sedata solo con l’arrivo dei caschi blu dell’Onu nel 1995, che tutt’ora presidiano sul territorio. “E se quel cuscinetto Onu dovesse andare via,  – spiega il fotoreporter Capatti – credo che sarebbe di nuovo caos e guerra”:  edifici trivellati dagli spari, “finte ristrutturazioni” per permettere ai cittadini di tornare nelle loro case, milioni di bombe ancora inesplose che impediscono ai contadini di coltivare la terra, interi boschi non segnalati che sono veri e propri campi minati, uno Stato che non riesce a far fronte alla bonifica, migliaia di corpi in fosse comuni ancora non identificati, una politica nazionalista che vede il suo ritorno in uno scenario governativo con tre regioni indipendenti e un potere centrale, tutte in disaccordo. Questa è la Bosnia testimoniata in queste foto, un paese che vive nell’instabilità politica, “dal 2015 si sono succeduti già tre governi” e ora si torna alle elezioni.

Sandro Capatti porta, attraverso le sue foto, in un paese sconosciuto, “abbandonato” riferisce il fotografo, non è solo il paese dei migliaia di turisti e pullman da tutta Europa verso Medjugorje tutti giorni, è un paese che a causa di istituzioni disgregate non riesce a risollevarsi e vede la continua delocalizzazione delle sue imprese, restano solo le multinazionali, ma senza un piano industriale nazionale. “Manca anche un piano sanitario – continua Capatti – manca di tante cose, ma è riuscita dal nulla a creare due musei della guerra che portano un flusso incredibile di visitatori. E’ un paese che potrebbe sopravvivere solo con il turismo, un paese meraviglioso ma che ha ancora tanto da fare”.  Sulla convivenza tra le religioni ha molto da insegnare, “i relatori bosniaci vengono chiamati da tutto il mondo. Tra le persone c’è profondo rispetto”, ma poi come fantasmi spuntano le testimonianze di chi solo pochi anni fa, cresciuto nella culla dell’interreligiosità, sparava come cecchino a donne incinta e anziani. “Ho conosciuto un ex militare – spiega Capatti – che durante la guerra sparava in quella che ancora oggi è chiamato il viale dei cecchini. E’ un serbo che aveva una moglie bosniaca”. I controsensi della guerra.

Poi ci sono quei lavoratori rimasti senza impiego perchè la produzione è stata dislocata dove la manodopera costa ancora meno, “operai che hanno occupato la loro fabbrica nel tentativo di farla comprare da una multinazione. Tentativo che temo non sia andato a buon fine” racconta il fotografo.

Come i precedenti lavori del fotoreporter trapiantato a Parma per lavoro, Sandro Capatti, l’argomento del sociale è fondamentale e vuole scoprire  argomenti che non sono sempre alla luce del mondo. In Bosnia Capatti arrivò nel 1997 e iniziò a documentare un paese che aveva tante speranze di ricrescita. Nel 2007 lavora poi ad un nuovo progetto nei campi profughi e negli orfanotrofi di bambini della Bosnia dopo la guerra. Nel 2010 è uscito il suo libro “SORRISI STRAPPATI ALLA GUERRA”, step conclusivo di questo progetto realizzato in collaborazione con l’associazione Cosmohelp di Faenza. Con il suo lavoro del 2012 “Sarajevo, memoria e futuro: la speranza nei giovani” partecipa al Photofestival Milano 2013. Nel 2015 torna a Sarajevo e quelle esposte alla Biblioteca Internazionale Ilaria Alpi, per la rassegna che festeggia i 10 anni della biblioteca, sono alcune delle sue ultime testimonianze in questo paese dalle incredibili ricchezze culturali, storiche e naturali, ma che non trova ancora posto tra le sedie dell’Onu.

 

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