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Tuffo nella periferia romana di Claudia Durastanti con i Giovedì D’Autore al Chourmo

di Marco Rossi

“Le presentazioni che più mi piacciono sono quelle che parlano di un libro senza parlare di un libro” esordisce Silvia Pelizzari al terzo incontro del Giovedì d’autore organizzato presso la enolibreria Chourmo il 23 novembre. Parole migliori, infatti, non avrebbe potuto utilizzare per introdurre la chiacchierata con Claudia Durastanti, autrice dell’opera Cleopatra va in prigione. Il romanzo da lei presentato è un affresco che racconta la città di Roma, senza però parlare specificatamente di Roma. Quello che ne esce fuori è un racconto dalla portata universale, in grado di rapportarsi perfettamente con la società contemporanea, sempre più globalizzate e sempre meno imbrigliata nelle vecchie categorizzazioni. Tra un bicchiere di vino e una risata, Claudia propone la sua personale prospettiva sugli spazi urbani, resa più viva dalla lettura di alcuni brani da Serena Varrucciu a metà serata.

Claudia Durastanti nasce a New York, a Brooklyn, dove vive fino all’età di sette anni, per poi trasferirsi con la famiglia in Basilicata. Questa sua doppia identità le ha permesso di destreggiarsi come traduttrice per la casa editrice Minimum Fax e Marsilio, con le quali ha pubblicato anche i suoi romanzi. Lei tuttavia, come i personaggi e i luoghi del suo romanzo, non vuole essere categorizzata. “Mi imbarazzo sempre quando mi chiedono com’è essere una scrittrice italo-americana – spiega durante la presentazione -. Sono stata sempre convita che ci saremmo trovati in un periodo storico in cui queste domande non avrebbero avuto più senso, invece sono riproposte in maniera prevaricante”.

Il romanzo della giovane scrittrice, classe 1983, è costruito intorno a una serie di personaggi e luoghi che richiamano a una romanità che può essere definita subalterna. Caterina, ballerina diventata spogliarellista, porta avanti un triangolo amoroso tra Aurelio, che va a trovare ogni giovedì nel carcere di Rebibbia, e l’agente di polizia che lo ha arrestato, sullo sfondo della periferia romana. Queste tematiche sono da sempre sfruttate da letteratura, cinema e televisione, il caso più recente in Italia è quello della serie Netflix Suburra – la serie, tuttavia Claudia non le sviluppa come ci si aspetterebbe. “ Ho avuto una sorta di reazione di rigetto sia da scrittrice e che da lettrice, perché detesto la letteratura che trasforma il subalterno, o la città di Roma stessa in questo caso, in qualcosa che simboleggia una portata politica o culturale. Il mio tentativo è stato quindi di aggirare questa sorta di vincolo, evitando di scrivere un romanzo sociologico. Mi ha stupito il fatto che, essendo ambientato in quegli spazi, avrebbe dovuto essere necessariamente una storia di riscatto o di redenzione. Questo perché non riusciamo a immaginare certe esistenze in alcuni luoghi senza metterle in relazione a qualcos’altro. Non si riesce a immaginare che la ballerina diventata spogliarellista riesca a sviluppare un rapporto d’amore con lo spazio che la circonda.”

Lo spazio, in questo caso, è la periferia romana, mostrata nella sua essenza, non in rapporto col centro, assumendo connotazioni universali, in grado di rapportarsi perfettamente col nostro mondo sempre più globalizzato. “Quando ho pensato a questo libro, tre anni fa, mi è sembrato che trattare Roma in questa maniera, così notturna, così tropicale, di non proporla come una città fatta di luce, partendo da una prospettiva ecologica e non sociologica, fosse interessante. Tutte le cose che ho usato per descrivere Roma, però, mi hanno indicato che non è più Roma e che è diventata un’altra cosa. Ci sono stati una serie di cambiamenti oggettivi che sono globali. Questo rende le città sempre più simili fra di loro, Roma compresa: potrebbe essere una qualsiasi città e potrebbe essere una qualsiasi periferia”.

La sensibilità che l’ha portata a scrivere questo libro è stata prevalentemente visuale, legata a una certa cinematografia ed a una certa serialità televisiva. “Nella prima stagione di True Detective lo spazio è un personaggio, un protagonista, mentre Top Of The Lake, nello specifico, è uno studio antropologico legato all’ambiente. Ho così iniziato a ipotizzare alla progressiva rinuncia dell’umano. Se vi ritroverete mai a scrivere dei luoghi in cui vivete vi verrà la grossissima paranoia di dovergli dare qualcosa, di doverli rispettare, invece, secondo me, le scritture migliori nascono da una disobbedienza, da una mancanza di rispetto. La mia vita si basa tutta su una disobbedienza a un destino prescritto”.

La sua scrittura, dunque non vuole solo rapportarsi in maniera diversa col presente, ma vuole rapportarsi con una diversa visione del mondo, la stessa che tra non molto tutti quanti avremo, probabilmente. Quello che è certo, però, è che Claudia Durastanti non ha alcuna intenzione di essere banale e scontata, riuscendo così sempre in qualche modo a colpire pubblico e critica. “Io la scrittura la immagino, concretamente, come smuovere delle rocce per impedire che si formi del muschio che si cristallizzi in una serie di luoghi comuni”.

 

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