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Misha Cattabiani in mostra a LaZona: le trasformazioni di uno scatto

di Marco Rossi

“Il lavoro di Misha è stupefacente, riesce a fermare non solo un istante ma un’emozione, comunicando così a tutti noi” afferma Flora Raffa, dirigente dell’assessorato alla cultura di Parma, per introdurre le fotografie di Misha Cattabiani.

Dal 31 agosto fino al 27 settembre, infatti, i suoi scatti che compongono la mostra “Nient’altro che quello che (non) è” sono esposti presso LaZona, lo spazio all’interno del centro Cinema Lino Ventura dove libri e opere d’arte si mescolano, permettendo così ad artisti emergenti di farsi conoscere. Il giovane fotografo parmigiano, classe 1982, è intervenuto per presentare il suo lavoro alla cittadinanza durante un vernissage tenutosi martedì 5 settembre, presso il Centro Cinema.

Le fotografie, scattate principalmente nelle zone della bassa, delle colline e dell’Appennino Emiliano, sono una serie di immagini molto suggestive, che ricordano le atmosfere dell’impressionismo pittorico, dove i dettagli sono completamente eliminati per far trasparire le emozioni e le sensazioni provate durante lo scatto. Per creare una certa atmosfera, sono state utilizzate in sottofondo le musiche composte dal padre di Misha, Augusto, il quale ha interpretato le fotografie del figlio, allo stesso modo in cui Misha ha interpretato i vari paesaggi.

Diplomatosi nel 2001 presso l’Istituto d’Arte Paolo Toschi come Scenografo, Misha ha iniziato subito dopo la scuola a interessarsi di fotografia e a lavorare con fotografi di Parma e provincia, per poi entrare a far parte dell’associazione culturale “360°”, realizzandovi diverse mostre. Svariate sono le sue collaborazioni che lo hanno portato anche a realizzare diversi servizi fotografici in ambito paesaggistico, soprattutto intorno alla zona dell’Appennino Tosco Emiliano. La ricerca tematica del paesaggio, infatti, è l’ultima affrontata dall’artista parmigiano, che ha costruito un lavoro completamente diverso rispetto ai precedenti.

“Nell’ultimo periodo ho sentito il bisogno di prendere quelli che sono i canoni convenzionali della fotografia paesaggistica attuale e metterli da parte – espone Misha al pubblico accorso per la serata – per cercare di dare più spazio a quella che è un’interpretazione artistica, un’espressione personale del paesaggio: ho voluto utilizzare la macchina fotografica in modo più creativo, in modo maggiormente legato verso la pittura”. La particolarità di queste fotografie è quella di non essere state elaborate successivamente con qualche filtro o effetto particolare, ma di essere state realizzate interamente nel momento dello scatto, grazie ad un lungo tempo d’esposizione e a un mosso creativo. “Non è stato un fine ma un mezzo per arrivare a un concetto che ho provato a importare in queste opere. Ho cercato di spogliare il paesaggio il più possibile dai dettagli, partendo dalle fotografie collocate all’inizio della mostra, che presentano uno stile maggiormente impressionista dove il dettaglio è ancora presente, per poi andare ad eliminarlo in quelle verso la parte finale. Il dettaglio può disturbare l’attenzione”.

Due sono stati gli elementi importanti in questa ricerca, che sono gli stessi dei suoi lavori precedenti: il discorso dello spazio, appunto denudato il più possibile, e il discorso del tempo. “In questa mostra il tempo l’ho voluto affrontare non tanto cercando di catturarlo, perché è un pensiero utopistico, dato che oramai, una volta scattata la foto, è passato, ma cercando di trasformarlo”. Quello che Misha ha cercato di fare, infatti, è andare verso l’essenza del paesaggio, per poi trasmettere al pubblico un’impressione, un ricordo. “Nel momento dello scatto ho chiuso gli occhi e ho provato a immaginare quello che avrei ricordato tra dieci anni, ed ecco che i dettagli son venuti completamente meno”.

Per riassumere il messaggio della mostra, prima di recarsi al buffet offerto per l’occasione agli ospiti, Misha ha letto un passo tratto dal catalogo: “Lo scatto della macchina fotografica è quell’attimo che fugge che non si può ne controllare ne fermare, ma trasformare, una trasformazione quasi metafisica, alchemica, che può avvenire solo quando si è pronti ad accettare l’impermanenza del momento come la cosa più pura e importante che si può avere”.

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