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“Storie di Jazz” alla Casa della Musica. Andrea Grossi: “Un concerto lezione e tributo a John Coltrane”

di Marco Rossi

 

“Il jazz è la musica dell’accoglienza e dell’unione, una musica che va incontro alle diverse culture. Tutti i musicisti jazz, infatti, hanno avuto rapporti affettuosi con le culture etniche più diverse”. Con queste parole il maestro Roberto Bonati ha aperto la serata intitolata Storie di Jazz, svoltasi giovedì 26 luglio presso il Cortile d’Onore della Casa della Musica.

Durante l’evento, realizzato in collaborazione con l’Associazione Culturale ParmaFrontiere e il Conservatorio A. Boito, ha suonato il Mefisto Ensemble, il gruppo formato dagli allievi del conservatorio. Grandi nomi sono stati omaggiati nel corso della serata, come McCoy Tyner, Robert Jonson, George Gershiwin, Duke Ellington, Charles Mingus e John Coltrane.

La scelta dei brani, come enunciato dal titolo, è stata subordinata all’intenzione di ripercorrere quelle musiche che hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo del jazz. “Questa ha voluto essere una serata di avvicinamento, una sorta di lezione concerto, per attrarre chi già il jazz lo ama, ma anche chi lo ascolta o lo suona, infatti sono stati presenti anche dei musicisti – riferisce Andrea Grossi, che ha arrangiato la maggior parte dei pezzi e ha suonato il contrabbasso – Spesso, a noi di  ParmaFrontiere e in generale ai musicisti, ci viene detto che organizziamo eventi per pochi intenditori. Con Storie di Jazz abbiamo voluto convogliare il maggior numero di persone, anche soltanto curiose, che non abbiano mai ascoltato questo genere o magari volessero capire qualcosa in più”.

Quali sono state le tradizioni culturali che hanno influenzato il jazz e che avete voluto portare sul palco questa sera?

“Ci sono molte tradizioni e molte culture che hanno dato vita a quello che poi è diventato il jazz, come la tradizione irlandese, quella degli africani trapiantati in America e quella ebraica, per citarne alcune. Non bisogna dimenticare, però, che il primo disco di jazz è stato registrato da Nick La Rocca esattamente 100 anni fa, nel 1917, e che i musicisti di New Orleans sono andati spesso a sentire l’opera. Indirettamente, quindi, anche la musica italiana è stata molto importante. Parlando di generi specifici,  bisogna ricordare anche che quelli del jazz sono nati dalle situazioni di disagio degli schiavi americani, come le work song, canti eseguiti nei campi di lavoro, o gli spiritual delle melodie che intonate sempre nei campi ma con testi sacri. Il gospel è un’evoluzione dello spiritual fatto in chiesa”.

Come avete fatto a passare da brani così diversi, slegati l’uno dall’altro?

“Abbiamo suonato tante cose diverse. C’erano molti stili differenti. L’idea di avere come filo conduttore la storia del jazz ha aiutato ad approcciarsi più facilmente, anche da un punto di vista psicologico. Un altro filo conduttore, forse meno evidente, è una specie di spiritualità. Nonostante ancora oggi la si associ una vena di intrattenimento, la musica jazz è profondamente spirituale, sempre molto attenta al progresso dell’arte”.

Il concerto di questa sera è stato precedentemente proposto dal Mefisto Ensemble al completo, mentre questa sera vi è stata una riduzione di organico.

“In generale il complesso è abituato ai cambiamenti, essendo nato come gruppo del conservatorio, dove sono fatti girare al suo interno gli studenti da un certo livello. Quasi tutti gli arrangiamenti di questa sera, per la maggior parte miei o di Roberta Baldizzone, sono quelli originali o riduzioni dal concerto fatto a dicembre. La differenza sostanziale è stata di avere alcune voci in meno. In quell’occasione non ho suonato: questa sera è stata la prima volta col gruppo. La preparazione è stata frenetica, a causa di vari impegni, ma c’è stato un bel lavoro di squadra. Tutti i ragazzi sono arrivati molto preparati alle prove e si è creata una bella sintonia”.

MinesTrame – A tribute to Jon Coltrane è stato un tuo omaggio uno dei più grandi maestri del jazz di tutti i tempi.

“John Coltrane, uno dei più grandi artisti del jazz, non è stato solo un eccellente sassofonista ma anche un musicista che per tutta la vita ha messo in dubbio quello che ha fatto. Il suo scopo è stato ricercare un qualcosa che avrebbe dovuto essere il futuro della musica. Nel giro di pochissimi anni ha cambiato radicalmente stile nell’intento di cercare questo qualcosa. L’idea è stata quella di fare un collage di vari periodi storici suoi, utilizzando molte citazioni, per cui ci sono pezzi sovrapposti ad altri, citazioni di brani di un periodo dentro brani di un altro. Durante la lavorazione ho scoperto una cosa che salta subito agli occhi considerando la totalità della sua produzione: Coltrane ha una piccola cellula melodica che ha utilizzato in tutta la sua produzione. Questa scoperta è stata il fulcro di questo mio collage”.

 

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