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L’Agenda Rossa di Borsellino a Parma: il racconto del fratello Salvatore

di Lucia De Ioanna

Il Festival della Parola, organizzato dall’associazione “Rinascimento 2.0” con il patrocinio del Comune, si è aperto ieri, con l’arrivo al Parco Ducale dell’Agenda Ritrovata, simbolo della volontà di non dimenticare l’attentato di stampo mafioso del 19 luglio 1992 nel quale persero la vita il magistrato Paolo Borsellino ed i cinque agenti della scorta: l’obiettivo è quello di ridare voce all’agenda rossa del magistrato, dalla quale Borsellino non si separava mai, sparita misteriosamente subito dopo l’attentato, messa in qualche modo a tacere da mani che ancora restano misteriose.

L’Agenda Ritrovata attraverserà lo stivale grazie ad una ciclo-staffetta, percorrendo terreni scomodi, accidentati, in salita, a testimoniare come il percorso verso la verità, per quanto faticoso e lungo, debba essere affrontato. Un filo rosso che unirà il nord al sud del Paese, ‘simbolo di verità e di giustizia negate’ come osserva Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso.

Ad apertura dell’incontro intitolato ‘La speranza non muore mai’, Salvatore Borsellino ricorda il giorno della strage: “Mio fratello il 19 luglio aveva iniziato una lettera rivolta ai giovani. In quei giorni ripeteva di dover fare in fretta. Sapeva che gli avrebbero lasciato solo pochi giorni da vivere. Quando già sapeva che a Palermo era arrivato il semtex, l’esplosivo militare per ucciderlo, mio fratello si dice ottimista perché vede nei giovani una nuova attenzione verso le mafie. Da questo suo ottimismo ho capito che si ha diritto di parlare solo se non si perde la speranza. Non c’è bisogno di eroi, ma di persone che scelgono di fare il loro dovere.”

La scelta di percorrere tutta l’Italia partendo da nord nasce dalla consapevolezza del fatto che, prosegue Salvatore Borsellino, “il puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità di chi con la mafia fa affari è arrivato al nord, dove esiste una penetrazione mafiosa più pericolosa e subdola perché non è resa evidente, come avviene al sud, dai morti coperti pietosamente da un lenzuolo ai margini di una strada, ma ugualmente micidiale e capace di mietere vittime attraverso sistemi di corruzione, fallimenti fraudolenti, capitali costruiti col sangue e gare d’appalto al massimo ribasso.”

“Io sono un ingegnere”, prosegue Salvatore Borsellino denunciando il legame tra mafia e stato che ha segnato la storia del nostro paese, ” e cerco una logica nella trama dei fatti: se Berlusconi ha ringraziato Dell’Utri per la nascita di Forza Italia la deduzione logica è che senza la mafia Forza Italia non sarebbe mai nata”. E rovesciando poi la logica in un discorso che procede per paradossi viene a denunciare l’assurdità di tante verità negate: “se per tante stragi di stato non ci sono i colpevoli allora non ci dovrebbero essere nemmeno le stragi, nemmeno il sangue, nemmeno i parenti delle vittime”. Paradosso, ragionamento per assurdo che illumina le contraddizioni di un Paese che si dice democratico ma che ‘oltraggia il valore sacro delle istituzioni quando queste sono incarnate da persone indegne e corrotte.”

Il testimone di questa staffetta che restituisce voce ai familiari delle vittime di mafia passa a Margherita Asta: sono passati 32 anni da quel 2 aprile del 1985 quando sua madre e i suoi due fratellini di 6 anni furono sterminati nell’attentato di Pizzolungo che aveva come obiettivo l’uccisione del magistrato Carlo Palermo. Margherita aveva 10 anni e se allora aveva provato odio per quel magistrato, ritenuto la causa della morte dei propri cari, col tempo è riuscita, come afferma citando Sant’Agostino, “a far sì che da una disgrazia potesse derivarne una grazia. Ho deciso di trasformare il mio dolore in impegno, portando la mia testimonianza’, rendendo evidente il fatto che, come afferma il giornalista Salvo Taranto, moderatore dell’incontro, “quella con le mafie è una guerra vera e propria e come tale non si limita a colpire chi la combatte (magistrati, poliziotti o giornalisti) ma produce anche vittime civili collaterali”.

Appare forte Margherita, che a Parma, dove è venuta a vivere sposando un commercialista parmigiano, ha portato il suo impegno con Libera: al suo matrimonio è stata accompagnata all’altare da Don Ciotti, presidente di Libera, non potendo essere accompagnata dal proprio padre, morto di infarto lo stesso anno della strage. Anche lei ribadisce con forza il fatto che la mafia non guarda in faccia nessuno e che siamo quindi tutti coinvolti: “Il magistrato Carlo Palermo, che era l’obiettivo dell’attentato che ha sterminato la mia famiglia, non stava indagando in Sicilia ma stava portando avanti un’indagine a Trento. Reagire alla criminalità organizzata non è il gesto di un eroe, nasce dalla maggiore partecipazione alla vita della società, nasce anche dalla fiducia nelle istituzioni perché se è vero che c’è chi insabbia e vuole tenere nascoste verità di stato scomode è anche vero che nelle istituzioni ci sono tanti uomini e donne che si battono per il cambiamento.”

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