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Calcio e favole – Millesettecento giorni dopo Zeman torna sulla panchina del Pescara

di Francesca Devincenzi

 

Millesettecento giorni dopo, Zeman torna sulla panchina del Pescara. Ci ha riflettuto 24 ore, ci ha pensato lui, ci ha pensato il presidente Sebastiani. E alla fine, eccolo, di nuovo alla guida del Delfino.

Il boemo, 70 anni da compiere il prossimo Maggio, raccoglierà ciò che rimane della squadra lasciata da Oddo: una squadra che non ha mai vinto in campionato, allo sbando, a tredici punti dall’Empoli quartultimo.

Aveva lasciato nel 2012, con la promozione in serie A: lo aveva chiamato la Roma, lui aveva ascoltato il cuore e aveva detto. Grandi amori, quelli di e per Zeman. O lo ami o lo odi, il boemo, uomo da grandi goleade, fatte e subite, spasmodico del gioco bello e offensivo a costo di perdere come a tennis, vittima e carnefice di se stesso e delle proprie idee.

Roma, Pescara, Parma, Foggia, gli amori. La Juve, il suo odio. Le sue parole, il mantra di calciopoli. Controverso e ribelle, ma puro, divertente, vero. Uomo duro che invecchiando ha anche imparato a sorridere, Zeman torna a casa.

Un ritorno sospirato, ventilato per anni. Una favola che si concretizza, la parabola del figliol prodigo, l’ex mai dimenticato che torna a casa, un maestro che può rendere più dolce la retrocessione.

Riprende da dove aveva lasciato: la promozione del 2012 firmata Verratti – Immobile – Insigne. Poi su e giù. Giù e su. Di nuovo A.  Quest’anno sarà impossibile o quasi, firmare la salvezza.

La scelta sembra in chiave futura, per guardarsi intorno, pescare i nuovi Verratti Immobile e Insigne per ripartire in serie B con la promozione nel mirino. Per ricostruire una favola moderna dove era stata interrotta, il legame mai sciolto del tutto. Nessun tradimento, solo un allontanamento. Per ritrovarsi, e regalarsi una nuova primavera.

Lui il suo erede in serie A lo ha già individuato: Eusebio Di Francesco. Alcuni anni fa di lui ha detto:  “Nella vita ognuno ci mette del suo, con l’elaborazione delle proprie idee. Eusebio è stato bravo a seguire un percorso. Per due anni è stato un mio giocatore nella Roma. Si applicava, era curioso, provava a darsi una spiegazione per ogni esercizio o movimento in campo che gli era richiesto. Il suo e il mio 4-­3­-3? Inutile fare paragoni, tutto dipende dalle caratteristiche dei singoli giocatori. Consigli? Ci siamo incontrati sul campo e nelle riunioni a Coverciano. Qualche anno fa gli indicai una strada. A Lanciano e Lecce, talvolta cambiava modulo. Gli consigliai di avere il coraggio di puntare su un progetto. Se credeva nel 4­-3­-3, era opportuno non dirottare su altri binari. La sua scelta ha pagato”. E proprio contro il Sassuolo di Eusebio il Pescara ha trovato la sola vittoria stagionale, non sul campo, ma a tavolino per un’irregolarità dei neroverdi nello schierare Ragusa.

“Sono tornato perché devo qualcosa al Pescara e spero che la squadra mi riesca a seguire e a giocare al calcio. Non voglio che questa squadra chiuda la stagione come la peggior squadra d’Europa. Vogliamo cercare di fare qualcosa di buono”.

Queste le sue prime parole di una conferenza piena di amore. “L’accordo? Ci abbiamo messo un minuto e mezzo per trovare l’accordo”, ha raccontato. Per poi guardare avanti: “Dovremo fare il possibile ma realisticamente è dura pensare di salvarsi. Dovremmo vincere più partite di quante ne servono alla Juventus. A fine campionato vedremo dove siamo, poi valutiamo”.

E sui suoi 70 anni: “Ho visto tanti giovani messi peggio di me”. In fondo, anche se ha già un erede, non  vuole ancora abdicare, Re Zdeneck. Allora bentornato nel tuo calcio, bentornato a casa.

 

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