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Valeria Milani: “Io, medico a Monaco”. Le differenze tra sistema sanitario italiano e tedesco

di Angela Rossi 

Specializzata in Medicina interna, ematologia e oncologia, ha studiato in Italia ma ha fatto la ricerca e la specializzazione a Monaco, dove vive da sedici anni e dove è  perfettamente inserita nel sistema sanitario tedesco.  E’ Valeria Milani, medico appassionato del suo lavoro, che vive la sua professione in maniera  quasi “antica” considerandola ancora una missione.

Valeria qual è la differenza tra il sistema sanitario italiano e quello tedesco?

“Devo dire che lo specialista qui è molto più autonomo; ad esempio nella mia praxis faccio tutto da sola e quindi funziona tutto in maniera più efficiente, rapida, consistente. In Italia ci sono  troppi laboratori e si rischia di morire di burocrazia”

 Tu stai facendo una grossa campagna per far conoscere e per contrastare l’anemia mediterranea. Come mai, visto che qui siamo nel nord e questa patologia non dovrebbe essere così diffusa ?

“Si. L’anemia mediterranea è una malattia molto diffusa nel bacino mediterraneo, anche però in Africa, in Asia, in tutte le zone che prima erano malariche perché i globuli rossi interessati dalla talassemia non vengono infettati  dal plasmodio dalla malaria quindi questo ha provocato una resistenza alla malaria, una selezione positiva. Ecco perché sono tutte nell’ex bacino malarico. In Italia è presente nel  bacino padano e in Sardegna dove la prevalenza raggiunge il novanta per cento. Poi in Grecia, Turchia, Cipro mentre  nella popolazione autoctona tedesca sono malattie a prevalenza bassissima. I flussi migratori antichi, nuovi e nuovissimi, però,  stanno cambiando l’epidemiologia in maniera radicale. Ci sono anche molti italiani e  quindi l’anemia mediterranea non è più cosi esotica. Fondamentale  è riflettere sui nuovi dati di prevalenza. E’ una malattia che si trasmette per via ereditaria. Se ci sono più popoli, anche attraverso i matrimoni etnici,  si crea una aumento di prevalenza e di portatori. Il pericolo è che due portatori hanno il 25 per cento di probabilità di generare un bimbo malato. Ed è una malattia gravissima. La diagnosi preconcezionale sarebbe l’ideale ma almeno una diagnosi prenatale è auspicabile. La talassemia major, ad esempio, la forma veramente grave,  ha bisogno di una trasfusione ogni tre settimane a cominciare dai primi sei mesi di vita del bambino affetto da questa patologia”.

Attraverso quali strumenti cerchi di diffondere l’informazione?

“Essendo italiana e  socia dell’ Associazione  italiana medici qui a Monaco e dintorni,  ho fatto una campagna di informazione, presso di loro con ginecologi e medici di famiglia . Ho fatto interventi   a livello medico , tra ginecologi, appunto, che poi sono quelli che vedono le donne incinte e così possono informarle ed anche a livello  della popolazione ma  mi piacerebbe fare ancora di più perché è importante. Anche per la nuova migrazione portatrice di questa malattia che diventerà non più esotica. E’ una malattia che va conosciuta . Ho preso contatti anche con i pediatri che sono quelli che poi hanno i casi gravi.  Nel sud, ad Ulm  c’è un centro pediatrico importante  col quale fatto congressi e quest’anno abbiamo intenzione di farne uno  anche sul tema transizione bambino – adulto ed immigrazione  specificamente sull’anemia mediterranea. Anche per migliorare il network a livello medico perché è una malattia complessa e non basta l’ematologa.  L’idea è poi anche  discutere a livello più generale sulle nuove malattie dei rifugiati . Poi sull’esempio di questo si può ampliare il discorso perché volente o nolente, ti trovi a contatto con pazienti e malattie che si pensavano sconosciute o vecchie e che invece, magari, ritornano. Anche se bisogna riflettere sul fatto che i rifugiati che arrivano sono sani perché quelli malati non riescono a migrare. Quindi c’è la teoria del migrante sano. Magari non è applicabile al flusso attuale ma si è andati a studiare la loro sopravvivenza rispetto alla popolazione autoctona ed è risultato che  vivono più a lungo perché sono selezionati . Poi magari nella seconda generazione muoiono delle stesse malattie perché prendono le abitudini della popolazione autoctona. Anche se adesso bisogna vedere, perché chi ha  soldi migra lo stesso e quindi le malattie arrivano comunque”.

Mamma e moglie e medico missionario?

“Sono oncologa quindi vedo nel  90 per cento della mia attività pazienti malati di cancro. E’ dura ma la mia scelta di passare dall’ospedale al privato  ha decisamente migliorato la mia qualità di vita e mi permette di avere un minimo di tempo in più”.

Quanto costa essere a contatto con persone che poi  non riescono a sopravvivere e ci si distacca completamente da un caso che si è preso a cuore? Ci si abitua mai a veder morire?

“Mai, non ci si abitua mai. Ci sono pazienti giovani, altri dei quali conosci la famiglia … E’ difficile vedere, magari,  una donna giovane  con figli piccoli, morire. E’  difficile”

Valeria Milani, legge qualcos’altro oltre ai trattati di medicina?

“Leggo quasi esclusivamente in italiano perché  mi manca la lingua italiana. Ho avuto un  periodo in cui mi piaceva la letteratura persiana. A volte leggo  gialli. In realtà  ho sempre nuovi stimoli anche perché  ho genitori che leggono una quantità di libri sproporzionata”.

Hai un sogno nel cassetto?

“Uno dei sogni è imparare lo spagnolo ed imparare il tango. Sono realizzabili, no”?

 

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