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Storie di italiani in Argentina: “In Italia non mi sentivo capita” (foto)

L’arrivo al porto dell’Umberto I° agli inizi del ‘900. Archivo General de la Nación Dpto. Doc. Fotográficos. Buenos Aires. Argentina.

di Alessandra Cristina

 

Argentina: il paese del tango e della carne, della Patagonia e della Pampa, del Papa e di Maradona. Un Paese così lontano visto dall’Italia e allo stesso tempo così vicino culturalmente dove i piatti tipici sono la pasta fresca, la pizza e la cotoletta, dove il cocktail nazionale è a base di Coca Cola e Fernet Branca. Il Paese dove alle feste parte il trenino sulla voce di Raffaella Carrà  e le pubblicità alla radio passano il jingle sulle note de Il ballo del mattone.  La nazione dove il 47% della popolazione totale è d’origine italiana secondo i Padri Scalabriniani e il primo paese al mondo con residenti italiani all’estero, secondo le stime dell’ AIRE (Anagrafe Italiani Residenti all’Estero)  che calcola quasi 30 mila iscritti  in più solo negli ultimi due anni. Ovviamente, di questi non tutti sono “nuovi emigranti” considerando la percentuale di argentini con doppio passaporto e il fatto che non tutti i nuovi emigranti si registrano subito dopo l’arrivo. (Il rapporto AIRE è di 1 ogni 4).

 

Gli italiani hanno sempre scelto questo pezzo di terra per emigrare. Una prima ondata migratoria massiva era partita già nel ventennio 1870-1890 con i mercanti navali liguri e piemontesi che un po’ per il commercio, un po’ per la miseria, cominciarono ad arrivare numerosi sulle sponde del Rio de La Plata. Poi, a partire dal 1900 fino al 1921, con un calo durante la prima guerra mondiale, fu la volta del sud: calabresi, siciliani, campani, lucani, così come abruzzesi e marchigiani arrivarono massivamente al quartiere La Boca di Buenos Aires. Qui vivevano nei conventillos, condomini molto umili con i caratteristici patii interni sui quali si affacciavano le diverse abitazioni che ospitavano intere famiglie numerosissime. Adesso i conventillos sono l’immagine tipica della cartolina con le casette colorate di Buenos Aires  dove oggi si trovano i negozi di souvenirs.  Da lì o restavano nella città,  che si allargava sempre di più anche grazie alle braccia dei lavoratori italiani, o si muovevano verso l’hinterland o le zone costiere, in base ai mestieri che già sapevano fare e alle regioni d’origine.

Durante il periodo fascista emigrare in Italia era quasi una parolaccia, bisognava costruire l’impero e l’immagine forte dell’italiano nazionalista e servitore della patria. Infatti, bisogna aspettare  la caduta del regime per  l’ultima grande ondata migratoria che si portò dietro famiglie e a volte addirittura fabbriche intere che aprirono le loro sedi nel Paese, come ad esempio la Fiat.

A partire dagli anni ‘60 del secolo scorso le mete migratorie degli italiani cambiarono. Meno emigranti sceglievano l’Argentina, allontanati anche  dall’instabilità politica, sociale ed economica  dovuta al susseguirsi delle varie dittature prima e dai diversi governi dopo, fino ad arrivare alla  dura crisi del 2001 durante la quale una rivolta popolare riuscì a far scappare in elicottero dal tetto de la Casa Rosada, la sede presidenziale,  l’allora presidente De La Rua .

Da quel momento gli argentini, come sempre durante il corso della propria storia, si sono rialzati e parallelamente anche il numero degli emigranti italiani nel paese ha ricominciato a crescere.

Girando per la città di Buenos Aires l’influenza degli italiani si respira in molte strade e piazza. A partire da una fermata della metro chiamata “Palermo” alla statua di Mazzini in piazza Roma (vedi nella gallery qui sotto)

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Tanti sono i giovani argentini che sognano l’Italia. Un’Italia magica culla di arte e cultura, fatta di paesini e paesaggi pittoreschi, di mari cristallini e gente cordiale. Un’immagine dipinta dai racconti dei nonni che continuano ad organizzarsi in associazioni con feste, sagre e processioni che ricordano tal santo o tale ricorrenza per fortificare il sentimento di sentirsi italiani.

I nuovi emigranti non sono gli stessi del secolo scorso. I giovani italiani non scappano dalla guerra ne tanto meno dalla fame. Soprattutto nel momento in cui scelgono un paese tanto difficile e instabile dove la percentuale di povertà è del 32% secondo le stime ufficiali.

 

Andrea è a Buenos Aires dal 2009. Ha 38 anni, è romano con sangue partenopeo e lavora in un’agenzia di viaggi. Con altri due soci italiani organizza da tre anni l’ Aperitano, un evento culturale e gastronomico con cadenza mensile a Buenos Aires.

“In Italia lavoravo in un’impresa familiare e dopo tanti anni sentivo la necessità di fare qualcos’altro.” Così ha comprato un biglietto di solo andata e grazie ad un appoggio iniziale  è riuscito a trovare lavoro  fin da subito. “Ho fatto vari lavori da quando sono arrivato ma adesso parallelamente al lavoro nell’agenzia, ho sviluppato un progetto di recezione turistica che si chiama Passione Argentina per gli italiani che scelgono questo paese come meta di viaggio . Nonostante non mi resta molto per risparmiare, a parità di condizioni economiche con l’Italia qua sto meglio tranne che per quanto riguarda il cibo: trovare prodotti di qualità è più difficile.”

 

“Sin da piccola sognavo il Sud America”, racconta Cristiana, 27enne romana con una laurea in Psicologia del Marketing e a Buenos Aires da 3 anni.  “In Italia sentivo come la sensazione di non essere capita,  un pesce fuor d’acqua. Sentivo che tutto girava intorno alla competizione e ad una forte pressione sociale che viene dalla famiglia e dalle istituzioni.”

Cristiana voleva fare il liceo artistico ma tutti la scoraggiavano perché non c’erano sbocchi, quindi scelse per lo scientifico. Voleva studiare Psicologia ma dopo non avrebbe trovato lavoro, quindi optò per Psicologia del Marketing perché prometteva meglio. Voleva diventare musicista ma doveva rimanere solo un’ hobby perché tra il lavoro nei bar e l’università non le restava molto tempo. “In Argentina invece c’è più povertà e allo stesso tempo più solidarietà tra le persone. Da questa parte dell’Atlantico c’è un’ estrema necessità di maggior sviluppo economico e sociale ma la gente non smette di sorridere e di lottare, cose che in Italia stiamo dimenticando”.

Secondo Cristiana è come se gli italiani e soprattutto i giovani si siano rassegnati a lavorare sottopagati e a mettere da parte i propri spiccioli  per pagarsi la macchina o la crociera, mentre in Argentina  la gente, più “abituata” alla povertà, riesce ad apprezzare molto di più quel poco che ha e a condividere con gli altri, nonostante una maggiore ignoranza collettiva dovuta al forte squilibrio sociale.

 

Francesca è una 33enne sarda che a differenza di molti altri in Italia lavorava  per una nota azienda con un contratto a tempo indeterminato e ben retribuito. L’anno scorso ha mollato tutto e ha deciso di prendersi 10 mesi d’aspettativa per capire bene cosa fare della sua vita.

“In Italia sapevo di essere fortunatissima sotto il profilo lavorativo, ma allo stesso tempo stavo male mentalmente e fisicamente: non ce la facevo più a sopportare le violenze morali e psicologiche dei miei capi”.

Francesca è a Buenos Aires solo da 4 mesi e sta decidendo se tornare  o restare. “Qua potrei fare un dottorato in Sociologia Visuale, continuare a lavorare e a dedicarmi ad altri campi che mi interessano come la fotografia. In Italia sarebbe più difficile: i giovani a 30 anni si sentono già vecchi o almeno così ci hanno fatto credere che dobbiamo sentirci.  Qua invece senti di essere una risorsa.”

 

“ Essere trentenni in Italia significa vivere un’adolescenza perenne.”  spiega Davide, napoletano di 34 anni. Ha lasciato l’Italia un mese fa e con un curriculum invidiabile: a Campobasso ha fatto l’assistente alla cattedra di diritto del lavoro per tre anni, a Roma ha lavorato come consulente,  a Torino per un anno e a Napoli per altri tre ha fatto un tirocinio al tribunale per 400 euro al mese. In estate accompagnava gli studenti delle vacanze studio in Spagna. In Armenia e  in Georgia ha partecipato a progetti d’integrazione dove si occupava degli scambi di progetti per ragazzi disabili.

“Il nostro sistema formativo forma eccellenze ma non se ne cura.  È anche vero che  alcuni dei miei amici che sono andati e tornati dal Sud America sono riusciti a creare  associazioni che gli permettono di lavorare nel territorio. Penso che già il fatto di stare qua è una buona palestra per un eventuale ritorno che spero accada il più tardi possibile. Però la maggioranza dei miei amici in Italia vivono di precariato e quasi sempre svolgono lavori che non piacciono. È frustrante avere la consapevolezza di saper fare qualcosa e non poterla fare”.

 

Beatrice invece è una studentessa d’Economia ed è a Buenos Aires per uno scambio di 4 mesi.

“Qua l’università è pubblica e funziona. Dovrebbe essere così ovunque perché tutti dovrebbero poter accedere al diritto allo studio. Inoltre, non dovendo pagare i tempi si dilatano permettendo agli studenti di poter lavorare o fare altre cose. Ad esempio, una cosa che mi ha colpito molto sono gli orari: ho una lezione dalle 7 alle 9 del mattino e un’altra dalle 21 alle 23. Alla prima i miei compagni vengono in giacca e cravatta perché dopo vanno a lavorare. Sono molti di più, in confronto all’Italia i ragazzi che studiano e lavorano contemporaneamente”.

Per quanto riguarda la povertà, Beatrice non l’aveva mai vista veramente: “ C’è tanta disuguaglianza ma allo stesso tempo c’è molta più speranza nel futuro. L’università gratuita significa anche dare una possibilità”.

 

Infatti, il tema dell’educazione gratuita è uno dei motivi principali che chiama i ragazzi da tutto il mondo e soprattutto dai paesi limitrofi a scegliere Buenos Aires. La UBA, Universidad de Buenos Aires, da sola accoglie circa 13.000 studenti stranieri ed è considerata nella top ten del ranking delle università in Sud America. Tutto ciò contribuisce a creare un clima altamente cosmopolita.

“Buenos Aires è una città multiculturale”, continua Beatrice,  che sta facendo domanda per il bando per la tesi all’estero per tornare in Argentina il prossimo anno: “Gente da tutto il mondo è ben integrata. In Italia ci sono gli italiani e a parte gli stranieri, guardiamo gli stranieri con occhio diverso. Sento che non ho tante speranze in Italia, sento che in Italia non riusciamo a spiccare, all’estero siamo più considerati”.

 

Quando sei un italiano in Argentina tutti ti chiedono stupiti : “Pero que hacés acá?!?” [Ma che ci fai qua] e tante volte è difficile spiegare come ci si sente a dover distruggere quell’immagine quasi onirica di sole e tavole ben apparecchiate, come ci si sente a scegliere di dover lasciare famiglia e affetti per ritrovarsi dall’altra parte del mondo soli. Si, perché è una scelta, difficile ma di scelta si parla. È ovvio che a volte un oceano nel mezzo e migliaia di km da casa  possono fare paura. Chi sceglie di partire sa di dover rinunciare all’abbraccio di un fratello o a una chiacchierata con un amico che ti conosce da tutta la vita. Eppure molti lo fanno e non sempre  è solo una questione di soldi, soprattutto se si decide di emigrare in un paese dell’America Latina.  Ma a volte, quella bella cartolina dell’Italia appesa in cucina di un anziano emigrante non basta a frenare la voglia di sentirsi vivi a 30 anni. A volte fare quel salto nel vuoto significa prendere coscienza della propria vita e decidere per sé stessi, finalmente.

 

“Penso si possa parlare di una continua tensione tra due sentimenti: il sogno e la nostalgia”,  conclude Davide:  “ La verità è che sogniamo l’America, ma un’America diversa, non quella neoliberista della quale l’Europa è divenuta la copia sbiadita dopo essersi scrollata di dosso gli ultimi brandelli di quello stato sociale che per lungo tempo è stato il fiore all’occhiello di un capitalismo più solidale e che scongiurava la barbarie tanto temuta dalla Luxemburg. A fare da contraltare alla componente onirica è qualcosa che ci lega inconsciamente all’Italia cui magari noi neanche facciamo caso…  E se fossero proprio gli echi dei fasti di un tempo del Bel Paese, visibili un po’ ovunque a  Buenos Aires ad attirarci? O quella particolare atmosfera che si respira nei bar o nelle panetterie che sembrano ricostruire fedelmente gli scenari dei migliori film di Fellini o Scola dell’Italia del boom economico e della brava gente?  E se la visione agiografica e nostalgica del nostro paese dei porteños [abitanti di Buenos Aires] fosse contagiosa e così potente da non poter essere minimamente scalfita dal frenetico incedere dei cartoneros  che si riversano nelle strade della capitale all’imbrunire, o dal contrasto dei senza fissa dimora che dormono placidi e sporchi sulle soglie dei portoni dei palazzoni “francesi” dei quartieri ricchi?”

 

Un italiano che emigra nel 2016 non sta scappando dalle proprie responsabilità, anzi, spesso va a cercare altrove la maniera di compierle, lì dove il tuo proprio Paese non riesce a garantirle. Anche quando il Paese che ti riceve non è proprio un esempio economico d’eccellenza e forse l’esatto contrario: a volte l’economia non c’entra niente quando più forte è la voglia di sentirsi meno individualisti, più vicini agli altri e allo stesso tempo più umani.

Alcune foto storiche delle prime migrazioni.

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