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WhatsApp, e i ragazzini non vivono più senza chat

Suona, vibra, lampeggia. E il cellulare diventa una dipendenza, una malattia, un’abitudine più simile a un tic e n vizio che a un’utilità. Perché se sta in silenzio vai a controllare di non aver perso qualcosa.

E se sei giovane o giovanissimo, può essere anche un problema,tloglierti la concentrazione, distoglierti dalla scuola.

E i presidi alzano la voce, contro il cellulare, ma soprattutto, contro WhatsApp, la chat che sta facendo impazzire tutti.

LA LETTERA APERTA DEI PRESIDI

Ecco la lettera firmata congiuntamente da tutti i dirigenti delle scuole medie e superiori di Parma e provincia.

“WhatsApp è una applicazione per smartphone molto versatile e di grande utilità: basta una connessione internet per scambiare gratuitamente messaggi (testuali e vocali), foto, video, posizione geografica e fra poco anche vere e proprie telefonate.

La usano centinaia di milioni di utenti, tra questi anche la maggior parte dei nostri alunni: in classe durante le lezioni, a casa mentre fanno i compiti, di notte invece di dormire, e poi mentre camminano per la strada, parlano con il nonno o tra di loro, mentre mangiano il gelato, sull’autobus, al bar, mentre guardano la tv. Il massimo dell’esperienza WhatsApp sono però i gruppi: se non fate parte del gruppo «2D», di quello «Pierino è un cretino» o di quello «Contro il prof di matematica», non potete dire di conoscere davvero WhatsApp.

Solo qui provate l’ebbrezza di ricevere 50 messaggi in un’ora annunciati da suonerie o vibrazioni che rompono il silenzio ogni secondo.

Solo nei gruppi potete ricevere il disegno del tempio greco, la traduzione di latino, la soluzione del problema di mate, insieme con l’ultima serie di insulti al compagno «sfigato» (grasso, che non merita di vivere, che si veste alla Caritas, che è omosessuale, ecc.), alla compagna antipatica, presuntuosa, facile, che le piace Tizio, che è stata con Caio.

Oppure, ancora, contro il preside, la prof di lettere, il bidello. Se siete fortunati poi, venite inondati di video di quella che bacia quello, di quell’altra che posta le foto della prima volta, di foto orrende di lei diffuse da lui dopo che è stato lasciato, eccetera, a piacere (stiamo parlando di 12enni).

Per non farsi mancare nulla, negli ultimi tempi infine girano trionfanti anche foto e video macabri dell’Isis, che non hanno bisogno di essere descritti.

Diciamoci allora almeno 4 cose:

1. Pochi lo sanno, ma tutti i nostri alunni del primo ciclo usano WhatsApp illegittimamente. Dicono infatti – molto chiaramente – i Termini di servizio che devi «avere almeno 16 anni perché il servizio WhatsApp non è pensato per minori di 16 anni. Se hai meno di 16 anni non hai il permesso di utilizzare il servizio WhatsApp». 2. L’uso continuo, distorto e indiscriminato di WhatsApp (come degli altri social) – comprensibile per chi ha appena scoperto il suo fascino – limita le ore di sonno, riduce la capacità di attenzione e di lavoro, impedisce di studiare e di concentrarsi, oltre a incidere negativamente sulle relazioni sociali. 3. Con un cattivo uso di WhatsApp (ci) si può far molto male: basta scorrere le notizie della cronaca per scoprire i danni che gli insulti, i video e le foto a cui abbiamo accennato sopra possono fare a dei ragazzi che sparano migliaia di colpi al secondo su e contro chiunque, senza rendersi conto del peso che i loro messaggi hanno quando vengono moltiplicati all’interno dei gruppi. E dire che i Termini di servizio sono molto chiari al riguardo: chi usa Whatsapp si impegna infatti a «non pubblicare materiale che è contro la legge, osceno, diffamatorio, intimidatorio, assillante, offensivo da un punto di vista etnico o razziale, o che incoraggia comportamenti considerati reati, che danno luogo a responsabilità civile, che violano qualunque tipo di legge, o che sono in qualunque modo inopportuni», oltre che «a non assumere l’identità di altri». 4. La diffusione di immagini senza autorizzazione dell’interessato è un reato che docenti e dirigenti hanno l’obbligo di denunciare alle autorità, del quale i genitori dell’alunno minorenne possono essere chiamati a rispondere civilmente. Questo vale ovviamente per tutti i reati commessi usando Whatsapp e o altri social, non solo quelli relativi alla privacy.

Proviamo a prevenire alcune obiezioni, prima di fare qualche proposta. La prima è da digital native: perché prendersela con un’App specifica? Se non è WhatsApp sarà Instagram, Telegram oppure Wechat o Viber o altre ancora. Ne cancelli una, ma ce ne sono altre 10: ciò non toglie tuttavia che noi dobbiamo rinunciare a costruire insieme delle regole. La seconda è un classico per tutti i tempi: il problema non è lo strumento ma l’educazione al suo uso, quindi è la scuola che… sono gli insegnanti che… i programmi che… Ci siamo abituati: quando non si sa dove andare a parare, si dice che ci deve pensare la scuola (le istituzioni pubbliche come discariche della globalizzazione, dice Bauman). Ovviamente siamo d’accordo: la scuola ci deve pensare, perché il nostro è il luogo della conoscenza, della sperimentazione e della critica. Ma non basta scaricarci addosso il problema, dobbiamo occuparcene tutti.

La terza è che si tratti di critica moralista, bacchettona, proibizionista: un modo semplicistico di liberarsi della questione chiudendo gli occhi, in attesa della prossima vittima e della prossima disperata richiesta di aiuto (al preside, all’insegnante, alla psicologa della scuola).

Apriamo allora il dibattito pubblico proponendo tre soluzioni coraggiose: 1. Cancelliamo Whatsapp dal telefono dei nostri figli se non hanno compiuto 16 anni. 2. Se ci sembra troppo, cancelliamo almeno l’iscrizione ai gruppi: questo non impedirà ai nostri figli di comunicare con gli altri, ma ci guadagneranno in sonno, attenzione, vita reale e benessere. 3. In ogni caso, parliamo con i nostri figli e scriviamo insieme a loro le regole per disciplinare le attività in rete, in modo da limitare i danni di cui abbiamo parlato. Lo stiamo facendo nelle nostre scuole con progetti, incontri e attività laboratoriali: facciamolo anche a casa, ma soprattutto facciamolo insieme, scuole e famiglie. Non possiamo accettare a cuor leggero un accesso libero e senza controllo a internet (cioè senza regole o presenza adulta) sia per i contenuti a cui i nostri figli hanno accesso (violenza, pornografia, notizie e video macabri), sia per il momento di sviluppo in cui si trovano, ovvero una fase in cui occorre formare competenze relazionali-sociali che solo nel contatto reale con gli altri possono crescere.

Possiamo anche buttare il cuore oltre l’ostacolo e risolvere il problema alla radice, comprando cellulari da poche decine di euro, che non hanno accesso a internet. Telefonate e messaggi sono più che sufficienti fino alla terza media. Fareste guidare un autobus al posto della bicicletta a vostro figlio dodicenne?”.

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