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In.co riorganizza: dipendenti spostati a Parma?

In Parlamento è finita all’attenzione del Governo una vicenda di delocalizzazione che lambisce Parma.

I deputati Giorgio Santini (Pd) e Gianpiero Dalla Zuanna (Pd) hanno presentato un’interrogazione urgente al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi sulla vicenda della In.Co di Rubando (Padova), azienda operativa del gruppo Ermenegildo Zegna principalmente dedicata alla produzione di capi spalla maschili sartoriali per il marchio Zegna ma anche Gucci, Tom Ford, Daniel.

Il gruppo Zegna – viene precisato – è uno dei più importanti gruppi nazionali della moda di lusso, sia formale che informale, con licenze negli occhiali, profumi e orologi, con punti vendita in tutto il mondo ed è presente in oltre 100 paesi con circa 8mila dipendenti e con fatturato di circa un 1,3 miliardi di euro nel 2014.

In.Co. occupa circa 1.060 dipendenti nei 4 stabilimenti: 230 a Rubano, dedicato alla produzione di capi spalla; 500 a Novara, dedicato alla produzione di capi spalla; 250 a Biella, dedicato alla produzione di maglieria e 100 a Parma, dedicato alla produzione di pelletteria;

La vicenda si concentra in particolare nel sito produttivo di Rubano dove operano 230 dipendenti, per la maggior parte donne, con un’età media di 45 anni. Il 29 marzo la direzione di In.Co ha prospettato, entro poche settimane, la chiusura dello stabilimento di Rubano, mettendo i lavoratori di fronte alla scelta impraticabile di trasferirsi presso gli altri stabilimenti del gruppo, oppure di rimanere senza lavoro.

La notizia – sottolineano i deputati nell’interrogazione al Governo – ha creato “sconcerto e apprensione tra i lavoratori perché inaspettata e perché l’azienda dispone ancora della possibilità di utilizzare gli strumenti quali la cassa integrazione per affrontare, senza licenziamenti, le ventilate difficoltà produttive. Nessuno poteva ipotizzare uno scenario così tragico per l’occupazione dei lavoratori e il futuro delle loro famiglie”.

I due parlamentari chiedono se i ministri competenti “intendano convocare con la massima urgenza la proprietà ed i rappresentanti sindacali per scongiurare la chiusura dello stabilimento di rubano, per esaminare tutte le possibili alternative che possano tutelare i posti di lavoro, la capacità produttiva e le competenze presenti in un presidio manifatturiero di riferimento per il made in italy”.

Una storia emblematica perché la In.Co, fino a ieri “gioiello” del gruppo, rischia la chiusura. Le 230 operaie – infatti- si sono viste proporre un trasferimento a 400 chilometri di distanza. Intanto, però, l’azienda intascherà cinque milioni di euro di sgravi contributivi per 200 assunzioni nel nuovo stabilimento a Novara che a regime potrà occupare sino a 600 persone.

A questo si aggiunge la creazione di tre poli che producono prodotti informali (il primo, outerwear e abbigliamento in pelle e il secondo, scarpe e accessori in pelle, a Parma e il terzo, maglieria, a Verrone-Biella). Poli che si aggiungono a quello storico del tessile di Trivero.

Pronta è stata la risposta delle lavoratrici, che hanno attivato davanti alla fabbrica un presidio permanente. Dopo l’annuncio del trasferimento l’azienda è stata perentoria: da subito cassa integrazione ordinaria per quattro giorni la settimana su cinque fino al 9 maggio, poi inizio delle operazioni di trasloco fino alla chiusura definitiva. Alle lavoratrici è stato proposto il “salvagente” del trasferimento a Novara, Parma o Biella, come se fosse una cosa da niente, per persone con famiglia e figli piccoli o genitori anziani, fare le valigie e andare a vivere altrove.

Il sospetto dei sindacati è che il gruppo, dopo aver potenziato Novara, dove procederà con 200 assunzioni, intenda sostituire le operaie di rubano con nuovi assunti e intascare il relativo corredo di sgravi contributivi per 8.060 euro a testa per tre anni, oltre alle minori tutele del Jobs act.

“I cambiamenti intervenuti nel modo di vestire maschile, sempre meno formale, in mercati strategici, come quelli, in particolare, cinese e russo, hanno trovato ulteriore conferma nell’ultima campagna vendite, conclusasi la prima settimana di marzo 2015, con cali degli ordinativi di capospalla non prevedibili in tale portata, riguardanti la stagione autunno/Inverno per consegne luglio/agosto” spiega la In.Co in una nota.

“La scelta di chiudere lo stabilimento di Rubano – secondo i sindacati come riporta Il Mattino di Padova – non dipende da una situazione contingente, ma da una decisione presa a tavolino e da tempo, che ha comportato una riduzione degli investimenti sul nostro territorio a favore di Novara e Parma. Il timore è che si sia attesa l’approvazione delle nuove norme sul lavoro per approfittare dei vantaggi che garantisce a chi licenzia i lavoratori in attività e ne assume altri, godendo degli sgravi e di un contratto con meno tutele: le disposizioni del Governo prevedono, infatti, decontribuzioni di 8.060 euro all’anno per tre anni per ogni lavoratore”.

 

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