Home » Cultura&Spettacoli » Il mondo di Ma Rea: quando la poesia nasce sulla strada

Il mondo di Ma Rea: quando la poesia nasce sulla strada

 

Ma Rea. Foto di Amir Khodabandehloo

di Francesco Gallina 

Un’ondata di Fermate Poetiche ha invaso Parma. Ma anche Elegantismi, Dialoganti, Nomeomen, Cestinamenti e Non disturbare. Questi sono solo alcuni dei numerosi tasselli di poesia errante nati e portati in giro per l’Italia da Ma Rea, all’anagrafe Andrea Masiero (classe 1979), autista di professione, ma clandestinamente poeta. Per la precisione, poeta di strada. Costola sempre più fiorente della Street Art, la poesia di strada si manifesta generalmente attraverso graffiti e murales finalizzati a portare la parola poetica in luoghi semiabbandonati, degradati o deserti delle città. Un’operazione di risemantizzazione poetico-metropolitana che però, Ma Rea, gestisce in modo del tutto originale. Niente graffiti, niente murales: piccoli pezzi di carta, plastificata e tagliata secondo varie forme, vengono incollati con biadesivo su cestini della spazzatura, pali arrugginiti o segnali stradali. Su di essi il poeta stampa i propri versi, dall’estetica quasi ungarettiana; poche sillabe emergenti come neri fili dal bianco della pagina, metrica libera, giochi di parole, leggerezza calviniana, ma profondità di contenuto. Il linguaggio è semplice, chiara la finalità; asfalto, cestini, supermarket, bar, pensiline, persino bagni pubblici: la parola poetica può germogliare ovunque. Dove meno te l’aspetti.

Il progetto capitale ha un nome significativo: Stendiversòmio, parola derivante dai termini stendibiancheria, verso e versuro (termine dialettale veneto per indicare l’aratro). Con l’aratro si scava nell’inconscio, in profondità; quel che emerge dal suolo del pensiero viene assemblato e appeso ad asciugare, come è per i panni stesi di NomenOmen, un cui esemplare è stato esposto in Piazzale della Pace.

Nomenomen, Parma

 

NomenOmen è solo uno dei tasselli che compongono uno dei primi progetti di Ma Rea, “Una campagna al mese per una poesia palese”. Venni in contatto per la prima volta con l’opera di Marea entrando nei bagni di Palazzo Schifanoia, a Ferrara. Galeotto fu Igienicamente: i suoi rotoli poetici di carta igienica poetica aiutano metaforicamente a pulirsi dalla volgarità e dalla meschinità sociale. Fra gli ultimi interventi più significativi non possiamo non annoverare “In direzione poetica ed errante’’, che si compone delle Fermate Poetiche e della Poesia traffico limitato che Ma Rea ha costellato per tutto il centro storico di Parma.

Fermata poetica, Parma

 

 

Dal 2014, la fucina creativa di Ma Rea è in continua ebollizione. Non lasciandomi sfuggire la sua tappa parmigiana, ho colto l’occasione di intervistarlo tra panini al prosciutto e scaglie di grana (pur sempre forme di poesia… gastronomica).

E allora… benvenuto su «Il Caffè Quotidiano», Andrea! Ma soprattutto benvenuto a Parma!

Grazie. Ci tenevo proprio a ritornare qui. Da troppo non passavo a Parma, ma l’ubiquità ancora non si è a me concessa… è stato bello riviverla di nuovo e con occhi sempre diversi. Una lunga giornata stimolante densa di splendidi scorci architettonici, incontri e cibo interessanti.

Nel 2015 hai conseguito la laurea in Scienze e Tecnologie della Comunicazione all’Università di Ferrara con una tesi sulla poesia di strada. Oggi, sul territorio italiano, quale pensi sia la situazione della poesia di strada e quale direzione stia prendendo?

Bella domanda. Al momento penso che la situazione qui Italia si sia mossa poco rispetto a due anni fa. Forse per compensazione è per questo che c’è sempre alta marea di poesia errante… Credo che il mondo della poesia in generale si stia muovendo un po’ di più, seppur in modo frastagliato. L’esempio su tutti è stato l’evento Mitilanza #1 alla Spezia che ha messo in contatto molte persone dell’ambiente creando molti stimoli. Ciò che manca alla poesia di strada è una strategia comune che sia qualcosa di più della presenza in strada. Penso sia necessaria una dialettica forte col luogo e una forza comunicativa maggiore, ovvero provare ad innescare un linguaggio interdisciplinare canalizzato dalla poesia. Oggi vedo molta poesia in strada, ma poca poesia di strada. È la strada che deve diventare poesia essa stessa con il suo arredo urbano e tutte le potenzialità che le sono proprie. La strada deve essere usata come un taccuino in cui si valorizzano le righe, i quadretti o la carta semplicemente bianca. Un taccuino denso di opportunità. Insomma, per dire, non esistono solo i muri in uno spazio urbano. Esiste molto di più e molto altro che è tutt’oggi sottoutilizzato. Questo significa veramente penetrare nel sistema nervoso di una città, nel suo funzionamento, nella sua organizzazione spaziale e organizzativa.  Questa è anche una provocazione, ma per creare un movimento bisogna fare un salto. I festival non bastano. Ci vogliono dibattito, confronto, figure di vario tipo che si riconoscano e/o che riconoscano tale movimento e che vogliano dare un contributo per dare sostanza a questo progetto tanto affascinante quanto impervio.

 

Per quanto riguarda il tuo laboratorio creativo, quali progetti dello Stendiversòmio hai portato a termine e quali hai intenzione di inaugurare?

Il laboratorio sta vivendo una fase di enorme espressione creativa. L’ultimo mio lavoro è la “Poesia traffico limitato’’, un nuovo tentativo di mettere insieme il linguaggio del codice stradale con quello della poesia. Un azzardo estremamente divertente e sorprendente anche per me stesso. Cerco di fare della metapoesia dentro questo spazio simbolico utilizzando i proverbi popolari. Sostanzialmente uno spazio neutro che più che farci vedere cosa ci sta lì dentro rivolge domande e provocazioni all’esterno, a tutto il mondo della poesia.

 

Poesia a traffico limitato

 

Poi ho inaugurato recentemente “Ci vuole profondità”, un lavoro fatto coi coni stradali usati come simbolo dei cantieri perché la poesia stessa deve essere un cantiere aperto e, al contempo, è necessario scavare in profondità in essa e in noi stessi. Coni stradali poetici che ci ricordano la necessità di ritornare alle radici nascoste nel nostro profondo. Installazioni fatte con coni appesi in verticale per darci il senso della profondità, poesia ovviamente a tema e un impatto visivo che mi ricorda (e a cui mi sono idealmente ispirato) l’effetto delle pareti del Palazzo Diamanti di Ferrara. Ancora, Il ritratto ovale è un altro lavoro recente di stampo dadaista, una doppia citazione: Edgar Allan Poe e Trompe l’oeuf di Man Ray. Inaugurato alla Terry May home gallery di Ferrara, è rimasto nel mio cuore per la spiazzante ironia che sono riuscito a creare attorno a questa installazione. Non è così comune dover sollevare il coperchio di un water per ammirare un opera, anzi, contribuire a crearla…

A breve dovrebbero arrivare i “Versi carrai’’ che saranno una evoluzione tematica dei segna-porte di “Non disturbare’’.

Nell’aria ci sono due libri, uno legato al mio lavoro di conducente pubblico e un altro di stampo politico. Il primo è ad uno stadio avanzato e spero presto di riuscire a metterlo in circolazione. Molti lavori da interno stanno nascendo legati a Smart poetry e altro, ma in particolare voglio citare ‘’Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma’’, un nuovo progetto fatto recuperando gli scarti della poesia errante. In pratica composizioni astratte fatte su cartoncino.

’α’’(Alfa) da ”Nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”

 

Sappiamo chi sei (fra le altre cose, sei stato intervistato su Rai1 e Rai2), ma preferisci operare in modo clandestino. Tuttavia, in corso d’opera, vieni in contatto con la curiosità del pubblico. Quali sono le reazioni? Vuoi raccontarci qualche aneddoto?

La clandestinità è solo apparente infatti, ovvero agli occhi della burocrazia.

Agisco sovente di giorno proprio come se facessi una cosa normalissima. E infatti lo è. È un’azione poeticamente normale. Il pubblico si rivela sempre più interessato e partecipe. L’esempio più straordinario rimane la panca di Smart poetry all’Arcoveggio a Bologna, considerando anche che ho passato quasi 3 mesi per terminarla. Gradualmente ho avuto il sostegno di tutti, al punto che ad un quarto del lavoro iniziarono a venire i bimbi a trovarmi alla panchina tutti i giorni, tra cui Alice che mi faceva da assistente. Il presidente del parco mi ha regalato 2 scatole di puntine da 1500 pezzi, anziani che mi portavano caffè, signore col gelato e molto altro. Ero diventato parte della comunità del parco della Ca’ Buia. Un’esperienza straordinaria. Da un punto di vista estetico la panca ha entusiasmato tutti per i suoi colori e l’aspetto tattile. C’era chi mi diceva che quando passava di lì si sedeva solo per provare la sensazione di questi strani Smarties, ovvero una seduta simile al tatto ad un guscio di tartaruga leggermente ondulato. Oramai la puntina da disegno come mezzo espressivo è diventata parte integrante di tutta la poesia errante grazie al suo insolito fascino.

Panca di Smart poetry, Bologna

 

Ad oggi hai portato i tuoi interventi di natura situazionista in circa 40 città italiane. Quali hai trovato più “aderenti” al tuo modo di operare, sia come spazi che come pubblico?

Ogni città è un mondo a sé. Negli ultimi tempi ho stabilito un certo feeling con Verona, anche per una mia frequente presenza. Anche Genova esercita un enorme fascino per quello che faccio. Citare Bologna è superfluo, visto che sto nel suo grembo. Più di così?

Nomenomen, Verona

 

Dal 2014 ai giorni nostri sei stato protagonista di diverse esposizioni personali e collettive. Quali le più significative?

“Saluti’’ a Ferrara è stata importantissima. Un evento simbolo di trapasso. Da un prima e un dopo. Si stava profilando un nuovo mondo e ho voluto dedicare la mostra stessa alla città che mi ha portato ad essere quello che sono oggi. Ho amato molto anche la mostra ‘’Alixxx. Dentro il Carrión’’ alla Carrión gallery all’isola della Giudecca a Venezia. È stato un gran lavoro di squadra e le persone accorse sono state numerose ed entusiaste dell’evento. Inoltre, cosa non trascurabile, la resa dell’esposizione ha soddisfatto tutta la squadra per la magica serata che si è creata. Ho provato, insieme a tutto, a mettere una piccola ciliegina sopra quella magnifica torta chiamata Venezia. E c’è stata proprio bene.

Alixxx. Dentro il Carrión, Venezia

 

Nato a Conselve, hai a lungo vissuto a Ferrara. Poinel 2015 ti sei trasferito a Bologna, dove hai dato avvio al progetto “A Bo strofando” e hai iniziato a collaborare con “Senza nome”, il primo bar italiano gestito da ragazzi sordi. Quali stimoli e nuovi orizzonti ti offre questa città?

“A Bo strofando’’ è una sorta di follia. Ma le cose folli sono sempre le migliori. Ho iniziato questo progetto a gennaio ’16 e ora sono appena al capitolo 3. Penso impiegherò 10 anni a terminare tutto il giro di Bologna, anche perché non mi dedicherò solo a questo. Pochi giorni fa ho avuto l’onore di organizzare un evento proprio dai ragazzi del Senza Nome ed è stata una esperienza magnifica. A giugno seguirà la mostra. Il loro locale è meraviglioso e pieno di gente stupenda. Trovo sia davvero un ambiente che rispecchi l’immaginario di una Bologna accogliente e piena di vita. Portare un po’ di poesia in posti così è sempre un onore. La città offre molti stimoli e io un po’ alla volta mi sto inserendo. È fresco di pochi giorni anche un mio contributo in via del Guasto tramite l’associazione Serendippo, un’altra realtà bolognese molto attiva nel mondo dell’arte di strada. Bologna è ricca di orizzonti, basta saperli vedere e magari contribuire a crearli. Lei farà il resto.

Ad ognuno i propri segni. Ad ognuno i propri sogni. Bologna

 

A febbraio è uscito il tuo primo libro, Pocket poetry, libro autoprodotto in 100 copie. Libro molto artigianale…

Sì, ho pensato che esordire in ambito editoriale in punta di piedi fosse ideale. Inoltre, volevo un prodotto particolare e la Pulcino Elefante è sempre stata una sorta di riferimento. Pertanto ho deciso di creare un taschino d’artista molto artigianale che contenesse delle pillole poetiche. Poesie adatte a tutti i momenti e da portare con sé in tasca. Ovviamente poesie con la forma di taschino. Un esperimento anche questo. E sono molto contento di averlo fatto.

Pocket poetry

 

Sulla pareidolia ci hai costruito Chirurgia visiva, progetto fotografico che continua a riservare grandi soprese… raccontalo ai nostri lettori.

Chirurgia visiva è divertimento allo stato puro. Incontro personaggi ovunque. Osservo le cose, le architetture, le piante, e qualsiasi altro elemento e vedo mimiche facciali, smorfie, sentimenti che trapelano ovunque. Sostanzialmente è uno studio del linguaggio extra verbale fatto con tutto quello che ci circonda. E questo mi ricorda come molti oggetti siano più vivi di tante persone.

 

Hai intenzione di esportare le tue opere all’estero? Quali progetti per il futuro?

Esattamente. Da qualche tempo sto lavorando sulle traduzioni di diversi tipi di intervento, anche con l’aiuto di alcune persone. Spero presto di portare qualche alta marea di poesia errante fuori dai confini nazionali. Progetti futuri? Penso che verso fine anno aprirò casa mia al pubblico. La sto trasformando in una specie di home gallery già da alcuni mesi. L’idea è di creare un ambiente misto tra laboratorio e casa galleria e in più una zona di discussione in cui passare delle serate a tema. Sto valutando come declinare il tutto. “Casa Ma Rea’’ si sta avvicinando. E questo penso sia un altro dei grossi progetti e scommesse su me stesso che si apprestano alla mia nuova vita da bolognese.

 

Casa Ma Rea

 

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*