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Guido Maria Grillo: «Vi racconto la mia “Anema”»


Sapevate che tra le righe di Parma si nasconde un cantautore dall’anima nobile e dalle recensioni illustri?

Guido Maria Grillo ci racconta la sua “Anema”. Ma ecco cosa dicono di lui:

“…Niente che si sia sentito in Italia negli ultimi 10 anni almeno”. (Shiver)

“…La prova che i capolavori nascono ancora” (Wall Street International)

“…Un artista davvero una spanna sopra molti per abilità e contenuti”. (Ukizero)

“…Catarsi spinta verso eteree e celestiali altezze” (Sentireascoltare)

“…un lavoro sontuoso” (Parallel vision)

“…un disco struggente e meraviglioso che suona come qualcosa di oggi assolutamente unico ed inimitabile” (Nonsensemag)

“…Il suo talento vocale è indiscutibile e tutto può permettersi”  (Lost Highways)

Estratti di recensioni dei dischi precedenti.

“Dovremmo tenercelo stretto.” Alessandro Besselva Averame (IL MUCCHIO)

“La voce di Grillo si staglia su orchestrazioni complesse e umbratili come sospesa in bilico tra Jeff Buckley e De Andrè” Simone Bardazzi (ROCKERILLA)

“Vocalità flautata, arrangiamenti ricchi e solenni. Da prendere maledettamente sul serio.” Enrico Veronese (BLOW UP)

“Introspettivo. Oscuro. Maledetto. Onirico. Luccicante” Vladimiro Vacca (LOST HIGHWAYS)

“Voce angelica che oscilla tra Jeff Buckley e Rufus Wainwright” Cristian Zaffaroni (SHIVER)

“Elegante malinconia. Decadentismo lirico” Marco Salvador (ROCKSHOCK)

 

 

di Francesca Devincenzi

C’è la musica commerciale. Poi c’è l’arte. C’è ciò che ti porta in alto, regala la popolarità e la ricchezza, poi ciò che è impalpabile ma regala l’immortalità.

L’Arte non la spieghi, la senti e basta.

La recepisci, la respiri, ti trascina nell’urgenza di conoscerla e capirla pur sapendo che potrebbe essere un viaggio a senso unico, senza fine o senza ritorno. 

Ti porta nella necessitò di saperne di più perché ti apre un mondo che hai dentro e lo devi scandagliare perché non lo conoscevi ma lo vuoi vivere tutto.

Questo è l’incontro  con la musica di Guido Maria Grillo, incocciato per caso con una violenza che ha necessitato un approfondimento. Scoprendo che in seno a Parma vive un artista tutto da scoprire.

Salernitano di origine, parmigiano per scelta, laureato in filosofia che traduce in poesia di note, incontrato per scoprire cosa sta nell’incrocio tra un Kurt Cobain che canta, scrive, arrangia, insegna musica e riesce a ricordare De Andrè con l’inconsapevolezza folle di chi ha bisogno di dire qualcosa sempre. 

E allora, in attesa del Live, il 23, al “Sul Naviglio Festival, a Parma, alle ore 21,00, conosciamolo meglio.

Una musica che è contaminazione e bellezza, la tua. Come nasce? 

“La musica per me è sfera dell’emotività. Tocca corde che solo lei sa toccare

Permette di esprimere una parte emotiva che in altri modi non uscirebbe, la mia parte emotiva è dominante, sia come fruitore che come creatore. Quando produco sono tentato da possibilità che portano a una cifra stilistica multiforme ma riconoscibile.

La mia musica è sempre qualcosa di diverso, in continua evoluzione, perché l’evoluzione è fondamento dell’Arte. E fondamento dell’Arte è la ricerca e l’evoluzione.

Chi rimane fermo e uguale a se stesso diventa un dipendente pubblico che timbra un cartellino che funziona non è arte.

Cosa mi rende vero? Ciò da cui provengo, per questo nella mia evoluzione ho scoperto l’utilizzo del dialetto napoletano come suggestione.

Oggi lo scopo è vendere e conformarsi, io voglio evolvere, ma spesso temo di non aver più nulla da dire, voglio sempre ricollocarmi ma essere credibile con qualcosa di vero senza conformarmi al senso commerciale”.

Così nasce Anema, venti minuti che rapiscono? 

“Tutti i miei testi sono autobiografici, contengono storie accadute intorno a me. 

La musica è colonna sonora della mia vita, della mia malinconia.

Anema è una parola napoletana, ma che arriva a tutti, tutti possono conoscere e comprendere. 

La tua musica contiene tante contaminazioni, ma è sempre pulita. E riconoscibile. 

“Io mi sforzo di essere sincero. Non mi conformo, sono sempre io nel bene e nel male, nella ricerca dell’evoluzione nel mio linguaggio. Io ascolto tanta musica, ma mi appassiono a poca. Recepisco gli imput, e li faccio miei”. 

Come nasce una tua canzone? 

Prima strimpellavo, usciva la musica poi il testo. Oggi sono più esigente, c’è troppa roba in giro che abbassa la qualità. Non voglio fare supermarket musicale, preferisco far uscire poche cose ma di peso. Il mio è un laboratorio musicale come fosse una sartoria, le melodie sono vestiti cuciti addosso alle parole e viceversa. E’ un esercizio di evoluzione consapevole”.  

Molti cantano in inglese. Tu scegli l’italiano, con varianti dal napoletano.

“L’inglese è più vile, più facile, In italiano devi saper scrivere, saper fare poesia.

È complicato. Ma l’inglese in italia non ha senso, all’estero non esiste un mercato della musica italiana in inglese. Il napoletano ha una musicalità pazzesca, ma ha più vita dentro”. 

Da Salerno a Parma, perchè Parma?

“Finito l’Università a Salerno, filosofia, ho fatto un master in organizzazione eventi culturali e spettacoli dal vivo nel 2006. Poi sono rimasto perché mi piaceva la città e offriva di più.

Ho aperto un piccolo circolo culturale di nicchia, il Materia Off: c’erano 20-30 persone a terra sedute in religioso silenzio ad ascoltare musica da ogni parte del mondo.

Parma é sulla direttrice delle comunicazioni tra Bologna e Milano, era una tappa comoda, ha funzionato bene. 

Ho coltivato contatti, dopo 6 anni ho chiuso lo spazio perchè era cresciuta l’attività concertistica e tra il 2009 e il 2011 ho pubblicato i primi dischi usciti con un’etichetta di Bologna. Poi ho suonato tantissimo in giro per l’Italia, ovunque, fino al 2019, anno in cui la pandemia  ha fermato tutto”.

Come si vive di musica quando il lockdown ferma tutto?

 “Io insegno canto. E’ bellissimo. Il canto è scoperta di se stessi, lo strumento nel canto è il corpo, e il cantante stesso si modifica scoprendo capacità di se che non sono tangibili, vanno esperite. E’ molto stimolante, scopro delle cose di me mentre insegno ad altri.

Nel lockdown ho avuto anche tempo per lavorare ad Anema, non è stato tutto negativo”.

Finalmente ripartono i live.

“Si, ma negli anni la dimensione è un po’ decresciuta, molto viene fatto in studio anche se ormai si può fare in casa. Questo distoglie dall’urgenza di suonare in pubblico: per suonare in pubblico devi essere all’altezza di replicare dal vivo quello che fai in studio.

Io sono più propenso al live anche per ragioni di generazione, non esisteva l’home recording quando ho iniziato io”.

Come hai iniziato?

In adolescenza, a 15,16 anni, ho iniziato a farlo per diletto. Ho registrato le prime cose…poi ai 23 anni ho fatto e vinto due concorsi, nel 2006, uno a Bologna uno a Roma. Con un’etichetta di Bologna ho pubblicato i primi album e iniziato a suonare live con continuità”. 

Che ricordi hai del primo disco? 

Era Gennaio 2009…lo ho ritirato in sede dell’etichetta a Bolgona. Al pomeriggio avevo un concerto a Modena, ho portato il cd da poter vendere. Una grande emozione, avevo prodotto tutto io da solo…”.

Quale è oggi la difficoltà di fare musica? 

“La difficoltà per chi fa cose mainstream è che c’è sempre meno spazio per proposte alternative, dieci anni fa ce ne era molto di più

C’è un degrado culturale che abbraccia tanti settori, esistevano strutture ed etichette, oggi essere indipendente spesso è una necessità ma si cerca di fare il salto: Non ci sono soldi per produrre musica, per fare arte. Anche Sanremo racconta che si è costretti a tendere all’uniformarsi”.

Colpa dei talent?

“I talent sono solo specchio dei tempi. Producono ciò che le masse ascoltano. Io ho provato solo Sanremo Giovani, lambito per quattro anni consecutivi arrivando  all’ultimissima fase. L’ultima volta sono finito in ballottaggio con Diodato e presero lui. 

Da quell’esperienza uscì una canzone cantata con Levante, Salsedine, che  ha avuto un percorso suo. Ormai per Sanremo giovani fuori età, per  Amici sono fuori target e fuori età, X Factor sarebbe una tentazione perché le strade si stringono..

I concorsi dedicati alla musica come la mia hanno poco peso. Nel 2017 hi vinto il premio Lauzi, concorso serio ma la risonanza è durata solo due giorni”.  

Tre aggettivi per la tua musica? 

Fondamentalista. Non ha mai concesso nulla, è sempre stata spontanea e sincera

Non è mai doma. Non è mai uguale a quella precedente. E’ emotiva. Multiforme”.

Il tuo futuro?

“Fare musica. Sempre, in qualche modo. Intanto ripartono i live, poi chissà”.

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