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‘Una candela nel buio’: i Radiodervish al Teatro Farnese portano il senso di comunità- VIDEO


di Nicolas de Francesco

Pensa agli altri

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,

non dimenticare il cibo delle colombe.

Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,

non dimenticare coloro che chiedono la pace.

Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,

coloro che mungono le nuvole.

Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,

non dimenticare i popoli delle tende.

Mentre dormi contando i pianeti , pensa agli altri,

coloro che non trovano un posto dove dormire.

Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,

coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.

Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,

e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

Mahmoud Darwish (1941-2008), poeta palestinese, considerato tra i maggiori poeti del mondo arabo.

I Radiodervish e la loro profonda cultura musicale e umana, la location del Teatro Farnese e le installazioni di Fornasetti, le sedie distanziate e l’ombra di una nuova chiusura per teatri, la prospettiva di un’ulteriore cancellazione di programmi musicali e di spettacoli, la cornice di una rassegna intensa e di ricerca come “Il Rumore del Lutto” di fine ottobre, sono stati gli ingredienti emotivi e carichi di intimo significato che hanno attraversato la serata di sabato scorso 25 ottobre durante il concerto dei Radiodervish.

Lo spettacolo è stato ospitato per la XIV edizione della rassegna “il Rumore del Lutto” ( diretto da Maria Angela Gelati e Marco Pipitone), organizzata in collaborazione con Complesso monumentale della Pilotta e il sostegno di Fondazione Cariparma. Svoltosi davanti ad un pubblico quasi sold out, ha visto il gruppo dei Radiodervish, per l’occasione,  salire sul palco in trio (Nabil Bey Salameh alla voce, chitarra e Bouzouki, Michele Lobaccaro al basso elettrico e chitarra, Alessandro Pipino alle tastiere).


Il concerto si è sviluppato in un’ora e mezza circa, attraverso la loro peculiare espressività, dallo stesso gruppo definita come “Cantautorato mediterraneo”, incrementando ulteriormente di denso significato l’evento, unendo temi universali, facendo immaginare spazi e tempi di un Mediterraneo che oggi ci rimanda al migrare di popoli e alla crisi umanitaria, ma che nel passato ha saputo più unire che separare, fino a veder nascere nel medioevo una lingua di mediazione come il Sabìr, dal catalano saber “sapere”, una lingua franca utilizzata da pescatori, commercianti, pirati, schiavi, provenienti da Salonicco, Istanbul, da Valencia, Cagliari, da Genova a Tangeri e Marsiglia.

L’arte dei Radiodervish è questa, il saper unire la musica e le parole di popoli che si guardano e si affacciano sullo stesso mare, bagnati dalla stessa acqua; ne deriva una cultura universale e una scrittura musicale di ballads eleganti, profonde e oniriche, un’armonia musicale che unisce “occidente” e “oriente”.

Il pubblico è stato permeato da tutta questa emozione, testimoniata dai lunghi e spontanei applausi e  dall’attenzione quasi cerimoniale in cui le persone si sono immerse nell’ascolto e tra le note, tra i brani cantati in lingua italiana, araba e palestinese, dandoci la possibilità di guidarci in un viaggio nel mar Mediterraneo.

 

I Radiodervish, sensibili nella musica come ai temi di attualità sociale, hanno intitolato il loro spettacolo “Una candela nel buio” (prendendo ispirazione dalla bellissima poesia “Pensa agli altri” dell’autore palestinese Mahmoud Darwish) e dedicando il concerto a Julian Assange, fondatore di Wikileaks, incarcerato ed estradato ingiustamente negli Stati Uniti, per aver rivelato documenti sui crimini di guerra perpetrati dagli Usa.

L’esperienza del concerto dei Radiodervish è stata un esempio di condivisione umana al di là delle difficoltà del momento, al di là delle frontiere di qualsiasi tipo, abbattendo le diversità e i timori dello stare assieme e infine è stata una dimostrazione di competenza organizzativa che dimostra come non solo un evento culturale possa essere cibo per l’anima, per la propria crescita interiore, maanche uno strumento di conoscenza, di confronto per creare e sperimentare l’esercizio della democrazia, del lavorare insieme e per gli altri, per mettere in “sicurezza” il futuro.

 

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