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‘La Moda parmigiana e il gusto retrò’- Riflessioni semiserie di Teresa Giulietti

Ph.Nicola Zanichelli


di Teresa Giulietti

Parma, città elegante dal passo lento, non troppo languido, ma sicuro. Il passo delle donne parmigiane è sempre stato diverso da quello delle altre donne. Un passo a , pass-èass-parmigiano; unico e distinguibile per gli occhi più esperti, sul panorama nazionale. Trattasi di intercedere regale, mai sgraziato, geneticamente diverso da quello delle donne di Reggio, per esempio (giusto per farne uno a caso, di esempi) quest’ultimo più allegro e baldanzoso. Reggiane spregiudicate. Parmigiane sdegnose.

Diverso pure da quello delle ragazze di Bologna, più aperto e scanzonato, come se ballassero una mazurca. E ancor più diverso da quello da mannequin delle donne di Milano, cresciute a pane e tacchi a spillo.

Parma città raffinata e colta, pure nel vestire, scrivevano i giornali di costume fino a qualche decennio fa e lo ribadivano leparmigiane stesse, abbozzando confronti da cui ne uscivano nemmeno a dirlo – vincitrici. Raffinata, sì. Altezzosa, pure. Ducale, doppio ; sia ben inteso: mai fino ad arrivare alla spocchiosità. Diversa dalle altre anche nel modo di vestire e di pettinarsi, oltre che in quello di atteggiarsi e di camminare, la donna parmigiana è sempre stata un’esteta, cresciuta a pane, prosciutto, Parmigiano e culto per la “bella figura”.

Essere una parmigiana, fino a qualche decennio fa, garantiva uno status, significava spiccare nel gruppo per raffinatezza e buon gusto. Gli azzardi e le stravagante alle donne parmigiane non sono mai piaciuti, anche correndo il rischio di risultare prevedibili e un tantino ripetitive.

L’eleganza parmigiana non è mai uscita dalle regole, le ha seguite diligentemente modificandole appena, all’occorrenza. Se ne è avvalsa per scongiurare le stonature cromatiche e formali che sono sempre in agguato, dietro l’angolo di Via Monte Napoleone.

L’eleganza parmigiana si è sempre conformata ad una certa idea di decoro che è nel contempo morale e formale (l’abito è il primo a fare il monaco); per questo si è sempre saputa mantenere in un equilibrio tutt’altro che precario, tra quell’accenno di noblessefrancaise e uno sguardo fintamente distratto verso le ultime novità del momento.

Stop! Oggi tutto è cambiato. Quello che si è detto fino ad ora non vale più. Anche la moda parmigiana non è più la moda parmigiana, sostituita e uniformata da/a quella che si incontra anche a Milano, a Roma, a Londra, a Parigi, a New York, a Dubay, a Sidney, a Los Angeles, a Timbuctù. Ovunque. Una moda intercontinentale figliastra dell’omologazione dello streetwear.

Se un tempo, attraverso la moda ci si voleva distinguere, oggi ci si vuole omologare. E’ tutto un copia e incolla. Tutti che copiano tutti. Il basso che copia il medio che copia l’alto che talvolta copia il basso, talvolta partorito dal medio. Non è più possibile né a Parma, né altrove, parlare di autenticità nella moda, e già da prima della rivoluzione digitale.

Nessuno possiede un capo che sia totalmente originale, nemmeno Lady Gaga o la duchessa Kate Middleton; se credete di possederlo, sbagliate alla grande. Ogni capo, anche il più curato e innovativo, è la riproduzioni di un archetipo.

Della moda parmigiana, dicevamo, restano dunque gli antichi fasti, le memorie, qualche bella fotografia. Nulla di più. La fama dell’eleganza ducale non discende, come si può pensare, dalla Duchessa austriaca trasferitasi a Parma nel 1816, e dal suo amore per il bello in senso assoluto. Quando Maria Luigia arrivò nella città ducale, stracarica di bei vestiti di manifattura francese, ebbe modo d’imbattersi in una peculiare attitudine al bello già radicata nel territorio. La signora dal labbro pendulo un’eredità famigliare che ha sempre mitigato nei ritratti, accattivandosi le indulgenze del ritrattista di turno non inventò proprio nulla, apportò semmai qualche guizzo creativo che attecchì su di un terreno già molto fertile e recettivo.


Le radici dell’eleganza parmigiana anticipano di gran lunga l’Ottocento della bella sovrana austriaca, come pure il casato Ducale dei Farnese che all’eleganza tennero sempre, e soprattutto alla sua ostentazione.
Grazie alla sua posizione geografica privilegiata – nel cuore della Pianura Padana, al centro di un efficiente sistema viario: il Po, la via Emilia e la strada Romea – e alla sua tradizione artigianale e la propensione al bello, Parma si è sempre saputa distinguere, senza primeggiare sulle passerelle internazionali.

Gli scambi culturali e commerciali, la vocazione della città alle esposizioni internazionali e alle fiere, l’hanno agevolata. I mercanti parmigiani, fin dal Medioevo, avevano fama di essere particolarmente vivaci e intraprendenti, viaggiavano per l’Europa, conoscevano le lingue, frequentavano le prestigiose fiere parigine, erano sempre informati sulle ultime novità.

Nelle fiere più importanti della città, i mercanti stranieri e i turisti accorsi per respirarne l’atmosfera festante, potevano trovare stoffe pregiate di manifattura locale: canapa e lino ‘made in Parma’ e i preziosi busti da signora. E infatti, a Parma e fuori città, le bustaie erano assai famose, artigiane capaci di far sognare il mondo femminile, e soprattutto quello maschile, realizzando accessori che non hanno mai conosciuto crisi: reggiseni, giarrettiere, corsetti ricamati di pregevole e ricercatissima fattezza. Croce e delizia, tortura e vezzo del corpo femminile.

Ma, la “vera moda parmigiana nasce a palazzo e a teatro, dentro e fuori i bei teatri cittadini, nei salotti alto borghesi e nei circoli più colti; le periferie e la provincia hanno sempre tentato di imitarla, pur impiegando materie prime più scadenti e tagli semplificati.

Le signore di Parma, quelle eleganti che hanno saputo lasciare un segno quasi indelebile – non certamente le carampane simil-borghesi delle Prime al Teatro Regio in tenuta da Moira Orfei – non amavano indossare niente di trasgressivo, nessuna tinta gridata o materiale iper-tecnologico sottratto ai bozzetti futuristi e Dada.

Chi, come me, è nato negli anni Settanta ha fatto appena in tempo a vedere una Parma elegante e sartoriale. Qualche bagliore tra le boutique del centro, e in quelle della più prossima periferia che tenevano, un po’ a fatica, il passo con le loro matrigne altezzose: le boutique lussuose di Via Mazzini con le commesse sui tacchi a spillo e lo smalto in tinta con la tappezzeria; le profumerie splendenti di Via Repubblica che esponevano pezzi artigianali di bella bigiotteria; le botteghe di sartoria, quelle di biancheria intima nei borghetti del centro storico, le preziose gioiellerie di Borgo XX Marzo, quelli di cappelli e accessori disseminati nel garbuglio di viuzze che conducono all’Oltretorrente, e le maglierie della Parma Vecchia dove nel retrobottega si potevano ritrovare gruppetti di donne intente a sferragliare sciarpe, maglioni e cappotti.

Fino all’invenzione dei primi giornali nel Seicento, la moda si diffuse in modo lento e parziale, coinvolgendo quasi esclusivamente nobili, clero, e la cerchia di professionisti che gravitavano attorno a queste due realtà. Canali di diffusione delle mode, la corrispondenza epistolare e la ritrattistica ufficiale,veicolavano di corte in corte una certa idea di bellezza sia maschile che femminile, oltre che i nuovi stilemi vestimentari.

In tutte le corti europee, così come in quella parmigiana, dal Cinquecento in poi cominciò a diffondersi l’uso delle pupe, bambole di piccole dimensioni vestite all’ultima moda e curate nei minimi dettagli, inviate da una corte all’altra per far conoscere alle nobildonne le ultime fogge. Le bambine del XX secolo vestivano e spogliavano le loro barbie, le principessine tormentavano queste nanette paffutelle. La storia si ripete.

Le idee si diffondevano così, passando dai mercanti, ai sarti, agli orafi, ai parrucchieri e agli speziali di corte (custodi dei trucchi di salute e di bellezza), e spesso ai grandi artisti che, pagati lautamente dal signore, si operavano per realizzare abiti e mise di rappresentanza degni di opere d’arte.

Uno dei più grandi e contesi consulenti d’immagine dell’epoca fu il grande Leonardo. Sì, proprio lui, quello della Gioconda e dell’uomo Vitruviano. Altro che Enzo Miccio e Carla Gozzi… ma come ti vesti?

Dietro le quinte di Palazzo, nella Milano rinascimentale del lusso e del buon gusto, Beatrice d’Este, duchessa di Milano e moglie di Ludovico Sforza, si fece promotrice di parecchie novità vestimentarie coadiuvata dal grande maestro fiorentino.

Non erano ancora le attrici e le pop star, non erano più le Madonne ritratte dall’iconografia religiosa, o le soavi fanciulle della poesia provenzale, ora erano le regine e le principesse le nuove icone da imitare. Ce n’era una che le superava tutte, seguita anche dalle nobildonne parmigiane, mecenate delle arti, capofila della moda nonché riconosciuta maestra di stile: Isabella d’Este Gonzaga, sorella di Beatrice. Amava idearsi i propri abiti e le acconciature più bizzarre e s’innaffiava di superbi profumi, al punto da definire se stessa “la prima perfumera del mondo”.

Le maggiori influencer dell’epoca? La Chiara Ferragni e la Huda Kattan di corte?  

Beatrice e Isabella, la cognata Lucrezia Borgia, la modella Simonetta Vespucci (la musa di Botticelli, chiamata la “Sans Par” per la sua eccezionale bellezza), e poi la duchessa di Mantova Margherita Paleologa e  Laura Bentivoglio da Bologna. Ecco, lo si dica alle stra-pagatissime influencer che non hanno inventato nulla di nuovo.

Ovviamente, da questo circuito dorato era escluso il popolo che poteva saltuariamente godere di tanta mirabilia nel corso degli avvenimenti istituzionali: matrimoni, funerali, battesimi, ingressi di re. Vedere ma non toccare!

Liberamente tratto dal libro ‘Parma Meravigliosa’ di Teresa Giulietti Edizioni della Sera

(Tempo di lettura: dai 3 ai 4 minuti.Consigliato nella vasca da bagno, con tanta schiuma alla Marilyn. Alla peggio, in treno o sulla metro, di ritorno da una giornata di lavoro)

Foto di copertina Nicola Zanichelli

Abito di Nadia Ghidoni Mediapont Art Tessile

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