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Sara Valente incontra Deda Artusi: la ‘pittora’ delle istanze intime del femminile

di Sara Valente

Sono le dieci e mezza di un mattino stranamente soleggiato quando incontro Maddalena Artusi, una ragazza dai modi dolci e gli occhi vispi.

Qualche giorno fa ero andata a vedere le sue opere esposte  presso “LaZona” del Centro Cinema “Lino Ventura” e sono rimasta colpita, quasi commossa, dalla potenza espressiva della sua personale intitolata “Madre, patria, figlie”, un delicatissimo discorso intorno alla figura femminile nel tempo.

Mossa dalla curiosità, le ho proposto un incontro e, una volta trovateci in un bar del centro con le pareti illustrate da lei stessa,  le ho chiesto di narrarmi dei suoi esordi e del suo percorso artistico.

La risposta è stata delle più promettenti:“Sin da piccola ho avuto voglia di disegnare, volevo fare la “pittora”!”.

E subito si è guadagnata la mia simpatia, la simpatia che mi fanno le persone che inventano nomi buffi  e goffi per parlare di sé.

E dopo, a raffica, davanti a un bell’orzo fumante, mi ha raccontato degli studi artistici, dell’approfondimento sull’antropologia del sacro, della sua passione per i tessuti e per il disegno, un impegno portato avanti “non per far carriera” ma per rispondere alla pura esigenza personale di rendere concrete le sue sensazioni, di trasferire su un supporto materiale una dimensione spirituale.

Ha iniziato a raccontarmi della mostra e dei tre cicli dedicati rispettivamente alla figura mitologica di Cassandra, al tema della maternità (esperienza da lei vissuta in prima persona) e alle combattenti curde.

Tre cicli fortemente dialoganti con cui ha voluto riflettere sulle mille facce dell’essere donna, partendo dalle sue esperienze personali e dalle sue letture sul tema del femminismo e cercando di fare un discorso organico che possa rappresentare il femminile dal mito all’attualità.

Come ho avuto modo di sentire da lei stessa, la figura mitologica di Cassandra è stata scelta in quanto capace di esprimere il rapporto difficile tra la voce dell’io e altri mondi possibili e in qualche modo ha un legame con le donne curde, “Cassandre” guerriere di oggi, ma anche figlie e madri.

E la maternità è presente in un ciclo bellissimo di tele, in cui affiorano in superficie le gioie, i pensieri e le sensazioni di una madre in tutti i loro aspetti, anche quelli più intimi e fragili.

Durante le sue gravidanze la Artusi ha iniziato a fantasticare sui suoi figli e voilà, ecco che la sua mente  ha dato spazio alle idee più belle, alle immagini dei suoi bambini pensati come fresca rugiada o leggere nubi, pesciolini rossi innocenti in un mare cristallino.

Ciò che mi ha colpita è stata la sua umanità, il suo parlare in modo immaginifico ma nello stesso tempo franco e senza fronzoli della maternità, esperienza che ti “cambia in positivo ma che apporta modifiche ad equilibri precostituiti e che ti porta a dover reimpostare la tua vita”.

“Un percorso cangiante fatto di bianco e di nero”, di bellezza e di dubbi, di complicità e di adattamento all’altro, in cui l’importante è non annullarsi mai, ”perché è fondamentale che i figli vedano i genitori realizzati e felici”, contrariamente a certa retorica che vuole la donna come puro “angelo del focolare”.

Parole che sanno di giusto e che rimandano di contro ad altre importanti protagoniste della mostra, le donne curde, le combattenti curde,  che hanno dovuto difendersi ed organizzarsi per sopravvivere nei luoghi che le hanno viste nascere.

Quando le ho chiesto dei suoi contatti con il popolo curdo mi ha raccontato di un bellissimo viaggio fatto nel 2006 e che l’ha portata dall’Italia all’India via terra: in compagnia di amici giocolieri, si era occupata di realizzare un diario grafico del viaggio.

Nel bel mezzo del tragitto il pulmino che avrebbe dovuto portarli sino all’India ebbe un guasto e allora la compagnia si fermò in Turchia, facendo una sosta più lunga del previsto.

In quella occasione la compagnia entrò in contatto con un ragazzo curdo che in codice gli chiese di fare degli spettacoli per i bambini curdi delle scuole di montagna.

Da quel momento  l’interesse per  la cultura curda non ha mai smesso di esserci e la Artusi ha continuato, seppure a distanza, a parlare della causa, soprattutto dopo i recenti fatti di cronaca e l’inasprirsi della violenza del governo turco nei confronti della popolazione curda.

La sua opera è un modo per dare un contributo e riconoscere la forza delle donne curde che hanno combattuto e continuano a farlo: su uno sfondo bianco spiccano le figure di queste ragazze dalla tenacia incredibile, dallo sguardo fiero nonostante il pericolo e la morte incombente.

Procedono con armi bianche in mano, tra germogli, fiumi di sangue  e tappeti con gli ornamenti tipici, a stretto contatto con le origini e la loro terra e combattono per difendere una quotidianità, la quotidianità tranquilla che spetterebbe a ciascun essere ma che da tempo gli è stata negata.

“Ti sembra giusto che delle ragazze così giovani debbano uscire di casa con un fucile in mano, con armi di fortuna?A me sembra incredibile quello che sta avvenendo e mi sento a disagio perché non posso fare nulla se non parlarne con i miei quadri!” mi dice con un velo di tristezza.

Il discorso poi termina con un po’ di amarezza, siamo entrambe dispiaciute del fatto che non se ne parli molto in tv e che i media ultimamente abbiano messo sotto la sabbia le notizie sul tema.

Ci confrontiamo sulle  fonti da cui apprendere le notizie per continuare a restare aggiornate e ci salutiamo con una piccola finestrella aperta sui progetti futuri: lascio una Maddalena molto carica ed entusiasta per un progetto sulla moda sostenibile e con l’idea di un lavoro in cantiere sul tema dell’aborto.

Intanto arriva con il babbo Ada, la piccola di casa,  e la lascio ai suoi cari ringraziandola molto perché mi è piaciuta la sua voglia di dare voce a chi ha poco spazio e ai moti dell’anima, alle istanze intime del femminile.

La sua mostra resterà visitabile al Centro Cinema fino al 28 febbraio durante gli orari di apertura del centro, c’è ancora tempo per  andarla a vedere!

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