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Al Teatro al Cerchio in scena “It’sapp to you”: viviamo come in un videogames?

di Sara Valente

 

Il Tetro del Cerchio continua a sorprendere il pubblico parmigiano con la scelta di rappresentazioni dal taglio originale ed innovativo: sabato sera è stata la volta di “It’sapp to you”, uno spettacolo interattivo nato da un’idea della compagnia teatrale Bahamut.

Andrea Delfino, Paola Giannini e Leonardo Manzan, giovanissimi attori ed ideatori del progetto, hanno avuto l’intuizione di creare un prodotto culturale nuovo a partire da un’idea di fondo tratta dal pensiero pasoliniano, attingendo motivi e riflessioni dalla tragedia in versi intitolata “Orgia”.

Cogliendo il nesso centrale dell’opera incentrata sulla sottile analisi delle leggi che regolano i rapporti sociali e sul tema del libero arbitrio, gli autori hanno trasferito le dinamiche presenti nell’opera madre in una realtà virtuale, trasformando il personaggio della “donna” in un automa robotico comandato in remoto dal cellulare del personaggio “uomo”.

A sipario aperto gli spettatori si trovano immersi nella trama di un videogioco: al centro della scena solo una ragazza, chiamata “46”, sintesi perfetta dei personaggi già visti in The Sims, Tomb Rider, Doom e Dark Soul; a lato Algoritmo, creatore del videogioco, figura divina simbolo del potere assoluto, attore e regista eternamente condannato a scrivere nuove storie.

Fin qui nulla di “nuovo”, se non fosse che, contrariamente a quanto avviene quando si gioca alla playstation, i piani si sono rivelati ben presto invertiti: è mai capitato che il gioco scegliesse il giocatore e che il giocatore stesso fosse immerso nella realtà atemporale del gioco? Sabato è stata la volta di Luigi: scaricando “It’sapp to you” ha connesso il suo cellulare al videogioco per aiutare “46” a trovare il suo assassino, mentre Algoritmo, ai lati della scena ha dato la voce alla ragazza.

Gli autori dello spettacolo danno così spunto per una riflessione più ampia, dando concretezza ad un immaginario fruito sempre e solo “dal di fuori” e soprattutto letta da sempre attraverso il filtro di uno schermo.

La compagnia ci è riesce in modo acuto, ricreando uno spazio a metà tra il quiz televisivo e il videogames: a fare da aiuto una postazione rossa che ricordava il pulsante di un joypad, le scatole con il punto di domanda prese in prestito da Super Mario, e una stanza vuota in cui gli oggetti sono immaginati dai giocatori e dal pubblico in un gioco continuo di immaginazione collettiva.

Non si vogliono fornire chiavi di lettura preconfezionate allo spettatore ma indurre l’osservatore a riflettere liberamente. Uscendo da teatro un solo interrogativo: ma noi siamo veramente liberi o agiamo “manipolati” dalla nostra società?

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