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“Videogiochi, formativi quanto Tolstoj”: Vanni Santoni presenta il libro “L’impero del sogno”, scorcio di una nuova generazione di giovani adulti

di Marco Rossi

“Non c’è da vergognarsi nel dire che videogiochi come Streat Fighetr II, Final Fight o Ultima V siano stati importanti tanto quanto certi romanzi: giocarci è stato formativo tanto quanto leggere Tolstoj”. Queste parole, che probabilmente molti attribuirebbero a qualche fannullone colto nel tentativo di nobilitare le sue mediocri passioni culturali, sono state pronunciate da Vanni Santoni durante la presentazione del suo ultimo lavoro edito da Mondadori, L’impero del sogno, giovedì 22 marzo presso il Chourmo. L’autore toscano, che con una sciolta parlantina e sagaci battute è riuscito a catturare l’attenzione del pubblico, ha presentato presso l’enolibreria un lavoro che prova a miscelare le grammatiche video ludiche a quelle della letteratura. Come si può intuire facilmente dal titolo, questo avviene all’interno di uno spazio onirico che prende il sopravvento sul mondo reale man mano che si sviluppa il romanzo. La contrapposizione tra i due mondi resta, tuttavia, fondamentale, poiché grazie a essa si può inserire l’opera all’interno di un discorso più ampio sulla vita e le dinamiche giovanili dell’attuale generazione.

“Questo libro è ambientato nel mondo dei sogni – prosegue Vanni – ma non vi sono tuttora teorie univoche sull’interpretazione degli stessi, anzi ne nascono sempre di nuove più o meno plausibili. Questo ci porta a pensare che forse il sogno, in quanto epifenomeno di una cultura, possa anche avere diversi significati a seconda dell’epoca in cui lo si genera. Il lettore è invitato, leggendo le avventure di Federico Melani, a formulare le proprie ipotesi sul perché il sogno, che progressivamente avrà un ruolo di sovrapposizione col reale, abbia tale forma”.

La caratteristica principale di questo “reale” sta nel fatto che, oltre ad essere connotato da dinamiche ripetitive e monotone della vita di provincia, risulta essere privo di prospettive e senza responsabilità, contrariamente rispetto alla vita onirica. Inevitabilmente questo discorso può essere ricondotto alla crisi di molti giovani ai giorni nostri. “La nostra generazione è come se fosse passata direttamente, per una serie di ragioni storiche sociologiche e sociali, dall’avere 17 anni ad averne 40: siamo stati ragazzini per un sacco di tempo e poi siamo diventati di colpo adulti perché ci siamo ritrovati in una sorta di bolla di una adolescenza protratta. La scomparsa del lavoro è decisiva in relazione al fatto che abbiamo incominciato a definire sempre più noi stessi in base ai nostri gusti e ai nostri consumi culturali. Che cosa rimane per definire uno stacco indiscutibile tra giovinezza ed età adulta in mancanza di qualsiasi altro segnacolo che possa funzionare da parametro? Evidentemente, la paternità o la maternità”.

Una volta che il mondo onirico ha definitivamente preso il sopravvento, decretando la definitiva fuga di Federico da una realtà senza prospettive, si possono riscontrare maggiormente quelle dinamiche video ludiche che rendono il romanzo caratteristico: l’avanzare e l’arrestarsi del tempo in base agli ostacoli da superare, gli oggetti che permettono di curarsi rapidamente e i vari mostri da sconfiggere per poter portare a termine la propria missione. Il tutto, però, utilizzato non come mero citazionismo ma in maniera funzionale allo svolgersi della storia. “Ho pensato che sarebbe stato interessante portare nell’opera letteraria le grammatiche dell’azione del videogioco. A me interessa molto l’intersezione tra crosmedialità e narrativa, dunque mi sembra molto interessante provare a indagarla. I videogiochi sono un’industria che ha superato Hollywood come fatturato e hanno fornito un importante contributo alla creazione dell’immaginario globale. Il libro ha una certa capacità di inglobare modalità altre”.

 

 

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