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Musica- La Cina incontra Parma sulle corde dell’Ehru: intervista al pianista Goretti

di Marco Rossi

 

Ancora una volta Parma conferma la sua apertura nei confronti della musica internazionale, grazie all’evento ‘Attraverso la Cina, sulle note dell’erhu’, composto da due concerti che si sono svolti domenica 16 luglio al Circolo Arci Zerbini e giovedì 20 luglio presso la Corale Verdi. L’iniziativa è nata dalla collaborazione tra Tian Ruohan, docente di erhu al College di Arte e Cultura di Kaifeng, e Andrea Goretti, pianista e jazzista formatosi nelle aule del Conservatorio di Musica “A. Boito” di Parma. Un’iniziativa molto interessante, specialmente per la possibilità di poter ascoltare l’erhu, un violino diffusosi in Cina durante la dinastia Qing (1644-1919), strumento tanto inconsueto per noi occidentali quanto affascinante.

“Questo progetto è nato dalla voglia di offrire un concerto diverso dal solito, essendo molto difficile in Italia e in Europa trovarne di musica cinese, con strumenti tradizionali cinesi. Mi è sembrata un’ occasione da non farsi scappare” esordisce Andrea Goretti mentre racconta con molto entusiasmo il difficile percorso che ha portato alla realizzazione del progetto. La collaborazione è nata da un contatto in comune che ha aiutato Gian a venire in Europa, “poiché non è semplice ottenere il visto per uscire, infatti siamo rimasti fino all’ultimo incerti. Per agevolare le pratiche abbiamo mandato un invito dal Conservatorio per farle visitare la scuola e, nonostante questo, ha avuto un visto per sole tre settimane rispetto alle sue intenzioni iniziali di tre mesi, per di più senza molto anticipo. Per questa ragione abbiamo dovuto organizzare i concerti in pochissimo tempo”.

Una volta arrivata in Italia, però ci sono state difficoltà a rapportarsi con lei, non solo per via dello  strumento ma anche per il modo di fare musica completamente diverso da quello occidentale. Accostare pianoforte ed erhu è una pratica consueta?

“Il pianoforte è, ironicamente, la prostituta degli strumenti, perché ha una presenza ritmica e armonica che gli permette di simularne diversi. Il repertorio per piano ed erhu apposito non esiste, poiché quest’ultimo è concepito per la musica tradizionale cinese, che ovviamente non prevede il pianoforte. Esiste però un repertorio contemporaneo per piano ed erhu, fatto da compositori canadesi tuttora viventi. Per il resto si tratta di rielaborare, cosa non semplice, dato che il sistema di notazione per l’erhu è fatto con i numeri (1 è Do, 2 è Re, 3 è Mi e così via), con segni che indicano la durata delle note, quindi un sistema molto diverso dal nostro. Di conseguenza per me è stato difficile vedere i suoi spartiti e per lei leggere i miei e il pentagramma”.

L’erhu è simile a un violino, ma molto particolare e molto antico, avendo alle spalle 1500 anni.

Esattamente, è uno strumento molto antico, soprattutto se si considera che il pianoforte ha circa 200 anni. L’erhu  ha due corde soltanto e si appoggia alla gamba, suonandolo verticalmente, a differenza del violino che si poggia in spalla e ha l’archetto inglobato allo strumento. La cassa di risonanza è fatta di legno di sandalo rosso ed è ricoperta sul davanti di pelle di pitone.

Che tipi di brani avete deciso di proporre al pubblico?

I pezzi hanno accostato parte del repertorio colto, scritti apposta per piano ed erhu, ai quali mi sono approcciato come musicista classico ed altri brani di stampo popolare dove ho improvvisato arrangiando un accompagnamento per la sua linea melodica, utilizzando molto scale pentatoniche. Non è stato semplice, ma alla fine è stata una bella sfida, molto soddisfacente.

Come sono stati scelti i brani suonati in queste due occasioni, c’è una logica dietro o avete cercato di regalare al pubblico un repertorio variegato?

Abbiamo cercato di spaziare, anche per dare una visione ampia della musica tradizionale cinese, accostando composizioni più elaborate e lunghe a canzoni della tradizione popolare e folklorica, mantenendo una continuità drammaturgica. Per i brani colti, dall’impostazione classica, abbiamo iniziato con due pezzi di Liu Wenjing, uno Sanmenxia Fantasia, che descrive la vita felice e frenetica dei lavoratori della diga di Sanmenxia e vorrebbe esprimere lo spirito eroico ed ottimistico dei lavoratori socialisti. Fantasia è un brano molto complesso e lungo che alterna momenti più vivaci a momenti più lenti, certi in tempo rubato e altri molto ritmati. L’altro si intitola La ragazza di fuoco, una composizione dai toni religiosi che descrive una ragazza che danza con vestiti sgargianti in una vallata piena di fiori di loto, avvolta dall’oscurità: la giovane intona una preghiera affinché vengano degli uccelli di fuoco a togliere l’oscurità.

Per quanto riguarda i brani folklorici, quelli che hanno richiesto improvvisazione da parte tua?

Il primo si chiama The grapes ripe, l’uva è matura, un pezzo che viene dalla Cina occidentale ed è la canzone per la festa della vendemmia. Il secondo è un brano ispirato all’arte del tai chi, in cui un cavaliere che pratica l’arte marziale, con momenti nel brano più concitati e attivi e altri più pacati e lenti, che simulano le movenze del tai chi. Jangnan è ispirato alla storia di due ragazzi innamorati che non si vedono per lungo tempo e si rincontrano dopo molti anni sotto la pioggia, in un clima di tristezza poiché nel frattempo lei si è sposata. L’ultimo è ispirato ai cavalieri mongoli che festeggiano le corse di cavalli, dove l’erhu simula sia i nitriti dei cavalli sia il galoppo. Nel complesso è stata una sfida e sicuramente la mia preparazione da pianista jazz mi ha aiutato molto, poiché uno classico non sarebbe stato assolutamente in grado di fare un accompagnamento così improvvisato.

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