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Disabilità- CIP, Giunio De Sanctis: “Lo sport abbatterà questo muro”

Marco Giunio De Sanctis (foto: Marino Silvestri)sport, 

 

di Francesco Servadio

Abbattere i pregiudizi per far conoscere ai giovani l’essenza più pura dello sport. Questa è la mission di Marco Giunio De Sanctis, Segretario Generale del CIP (Comitato Italiano Paralimpico). Classe 1962, docente universitario, De Sanctis è considerato uno dei massimi esperti di marketing e management sportivo. È anche grazie a lui se nei nostri cuori sono “entrati” Alex Zanardi e Bebe Vio, alcuni degli atleti paralimpici più famosi del mondo.

Nel suo ufficio del CIP di via Flaminia Nuova si respira sport a pieni polmoni. Di fronte alla sua scrivania campeggia una gigantografia del bocciofilo Marco Giunio De Sanctis, immortalato mentre sferra uno dei suoi colpi. Già, le bocce, per le quali nutre una passione viscerale: “Fanno parte da sempre della mia vita. Mio padre è stato per anni presidente della FIGB (Federazione Italiana Gioco Bocce) e dell’UBI (Unione Bocciofila Italiana, ora F.I.B., Federazione Italiana Bocce) e io stesso sono stato un atleta di alto livello, avendo vinto parate e gare nazionali”. Nei suoi occhi si scorge tutta la sua grinta, che ha sfoderato tanto sui campi di bocce e su quelli di calcio, quanto sul lavoro. Perché il dott. De Sanctis (per gli amici semplicemente “Giunio”) questa volta ha deciso di scendere su un altro “campo”: “Mi candido alla presidenza nazionale della Federbocce. Conosco bene le esigenze delle società e dei loro tesserati, non solo in virtù dei miei trascorsi di giocatore, ma anche perché dal 2004 sono il presidente del Circolo Bocciofilo Flaminio S.S.D. A.R.L. (di cui è pure presidente onorario, ndr)”. Campione italiano juniores di bocce nel 1977, è stato nominato migliore giocatore italiano U23 nel 1982 e ha fatto parte della Nazionale Maggiore dal 1986 al 1991. E proprio al Flaminio sta completando uno dei progetti a lui più cari, quale la riqualificazione dell’intera struttura, che sarà dotata di un bocciodromo moderno e funzionale, nel quale potranno svolgere attività sia gli atleti normodotati, sia i disabili. Un gioiello, insomma, comprendente bar e ristorante di alto pregio, oltre ad una palestra di 500 mq., a soli trecento metri da Piazza del Popolo, nel salotto buono della Capitale. “Non è stata un’impresa semplice. I lavori sono stati condotti a termine con successo, sebbene la società abbia dovuto affrontare (vincendole, ndr) ben otto cause legali, prima che l’opera si concludesse. Abbiamo firmato una concessione di trent’anni: lasciamo alla comunità un patrimonio da salvaguardare con cura”.

Il Segretario Generale del CIP è un fiume in piena. Non si ferma un minuto: telefonate, pratiche da sbrigare, un’agenda fittissima di appuntamenti. Le sue competenze manageriali gli hanno consentito di trasformare il CIP in una macchina organizzativa perfetta, incentrata sulla massima efficienza. Ma c’è ancora tanto su cui lavorare. “Il CIP conta venticinquemila atleti: pochissimi rispetto agli altri paesi europei, in particolare all’area anglosassone. Noi, però, abbiamo soltanto trent’anni di storia, ma in futuro contiamo di coinvolgere centomila disabili”.

Nel frattempo il CIP ha intensificato i rapporti con l’Inail e avviato iniziative specifiche con i centri di riabilitazione e con le unità spinali, iniziative, queste ultime, finanziate dallo stesso CIP. “Siamo diventati ente pubblico, i nostri atleti paralimpici sono addirittura più famosi di quelli normodotati. Tuttavia il nostro obiettivo è far avvicinare chiunque allo sport, senza discriminare nessuno”. Il messaggio lanciato ai giovani è forte e chiaro: “L’agonismo è soltanto la punta dell’iceberg. L’attività preagonistica per i disabili è quella di avviamento allo sport, poi si passa eventualmente alle competizioni. Far praticare uno sport a un ragazzo disabile è fondamentale, in quanto contribuisce a migliorare il suo benessere psicofisico e a cogliere anche un obiettivo economico: la riduzione delle spese sanitarie”.

I pregiudizi, alle volte, sono duri a morire: “Bisogna superare le diffidenze, per questo mi rivolgo ai giovani e alle loro famiglie. È la paura che alimenta il pregiudizio, perciò è necessario superare le barriere psicologiche. Come? Pubblicizzando tutte le iniziative e sensibilizzando una più ampia platea”. Lo sport può fare miracoli per coloro i quali sono affetti da disabilità fisica, intellettiva e sensoriale. I progressi sono tangibili: “Numerosi disabili hanno cambiato vita”, prosegue il Segretario Generale. “La cultura sportiva è cresciuta, sebbene non sia ancora arrivata ai livelli anglosassoni. Il nostro movimento è unico, poiché ciascun atleta ha una storia diversa e, attraverso lo sport, è in grado di trovare la sua dimensione”. L’aspetto fondamentale è superare la diffidenza: “Con lo sport abbatteremo questo muro”.

 

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