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Te lo dico, ma non parlo: il body language nella politica

di Andrea Graziano 

La comunicazione politica non passa solo attraverso la bocca delle personalità note o per le penne dei cronisti, ma segue anche canali di non immediata ricezione, quantomeno per la maniera latente con cui l’osservatore fa proprio un messaggio. La comunicazione non verbale, in particolare il body language (linguaggio del corpo) è parte integrante dello speech politico e può influire sulla stessa forza del messaggio. Si tratta di un canale spesso invisibile ai più, ma che influisce sul ricevente e segue linee tanto care a chi mastica marketing. La storia dell’uomo è stata incisa fortemente da grandi oratori che hanno saputo, nel bene o nel male, condurre le masse su un filone comune in linea al proprio pensiero. Ciò che può sfuggire, però, è che la gestualità ha inciso tanto quanto le parole che hanno marchiato a fuoco la memoria storica collettiva.

Martin Luther King Jr., uno dei leader mondiali della non violenza, parlava in pubblico mantenendo una postura salda: piedi fissi a terra, busto eretto, collo teso e mento verso l’alto a dimostrazione della fermezza delle sue convinzioni. Le scosse del capo che accompagnavano i discorsi in piazza denotavano una sottile linea di rabbia e indignazione per la condizione degli afroamericani, che lasciava trapelare esclusivamente col corpo, mantenendo la linea della non violenza con il discorso in atto.
Adolf Hilter non perdeva mai di vista il suo fotografo personale, Heinrich Hoffman, con il quale studiò a fondo il body language da sfruttare durante i discorsi rivolti al popolo tedesco. Nello studio di Monaco di Hoffman i due immortalarono alcune pose letteralmente “provate” dal Führere usate poi in pubblico: uno studio meticoloso della posizione dei palmi (alternanza tra il palmo rivolto verso l’alto della mano tenuta in basso e del palmo rivolto in basso della mano tenuta sopra la testa, accompagnata dalla chiusura “a ragno” della mano bassa a significare la “venuta dal basso” del suo potere) e l’uso dei pugni stretti per rafforzare un concetto.

Al di là della bontà del messaggio o della veridicità di esso, la comunicazione non verbale la dice lunga su quanto chi parla sia convinto di ciò che dice e di quanto questo si renda conto di rivolgersi ad una vasta platea. Nelle realtà politiche in cui il body language non è certo sottovalutato, è facile notare una ridondanza di gesti e movenze che nel corso del tempo diventano parte integrante del bagaglio comunicativo dell’emittente. In Italia c’è chi ha saputo brandizzare il proprio linguaggio non verbale per accompagnare il contatto con l’elettorato.

Silvio Berlusconi, protagonista della commistione tra politica e media nell’Italia degli anni 2000, rese celebre il gesto con il quale, in un confronto con l’allora rivale Romano Prodi, promise l’abolizione dell’Ici (Imposta Comunale sugli Immobili): indicò con l’indice della mano destra la telecamera durante l’atto della promessa, bucando lo schermo, passando attraverso la telecamera e creando un contatto diretto con l’ascoltatore.

 

Matteo Renzi, ex Presidente del Consiglio, ha spesso addirittura enfatizzato il body language adottato: le interazioni dirette con il pubblico vengono accentuate da un continuo movimento della parte superiore del corpo, dalle espressioni facciali forzatamente espressive e dalla distensione delle braccia, sinonimo dell’apertura di cui si voleva far garante.

La padronanza del linguaggio non verbale, in particolare quello del corpo, diventa dunque un elemento imprescindibile della comunicazione politica. Bisogna tenerne conto e chi soppesa il body language può tracciare il confine tra vittoria e sconfitta. Non sempre, però, chi è avvezzo all’uso corretto riesce a controllare lo strumento.

Lo hanno dimostrato Donald Trump e Barack Obama, rispettivamente Presidente attuale ed uscente degli Stati Uniti d’America. L’incontro avvenuto a seguito dell’elezione alla presidenza del primo ha visto protagonista il linguaggio del corpo reo di svelare le sensazioni dei due interlocutori, in alcuni momenti in contrasto con le parole. L’esperta in materia Patti Wood, interrogata dal Daily Mail, ha spiegato come i due sono stati traditi dal proprio corpo davanti alle telecamere. Obama ha tenuto le gambe più divaricate del tycoon, quasi a voler affermare la propria mascolinità e autorità. Trump, di rimando, ha tenuto le mani congiunte con le punte delle dita indirizzate verso il basso, gesto a cui la Wood ha attribuito la necessità del magnate di darsi conforto, in una posizione di “preghiera verso il basso”.

Quanto descritto sino ad ora mostra un quadro generale del linguaggio del corpo applicato alla comunicazione politica, sentore che la padronanza di esso può veramente significare il successo per le personalità politiche, concetto sicuramente rafforzato dalla possibilità di fruire dei contenuti multimediali con estrema facilità, grazie alla quale è possibile applicare un’analisi del modus operandi di chi si guarda.

 

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