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Lo “jihadista di Parma”: “Parlavo di tartufi veri non di bombe”

untitled«Non parlavo di bombe ma di tartufi veri».
Ha risposto per tre ore alle domande del giudice il 45enne iracheno Majid Muhamad, arrestato lunedì scorso con l’accusa favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nell’ambito di un’indagine della Dda di Bari sul terrorismo internazionale.

Il 45enne ha ammesso di aver fatto parte in passato di quel “gruppo di Parma” condannato dalla Corte di Assise di Milano per terrorismo internazionale, dicendo però di non essere un jihadista.

Nell’interrogatorio di garanzia che si è tenuto in carcere dinanzi al gip Giovanni Abbattista, il 45enne ha spiegato che «quello era un gruppo difensivo e non di attacco, impegnato cioè a difendere l’Iraq dagli americani».

Ha detto di avere un passato nel partito comunista iracheno che gli è costato quasi tre anni di carcere a Baghdad quando aveva 18 anni, di aver subito torture durante quella detenzione e di essersi poi trasferito in Italia dopo la caduta del regime di Saddam Hussein. Qui ha conosciuto suoi connazionali con i quali la magistratura milanese ritiene abbia organizzato attività di reclutamento di jihadisti. Processato e condannato in via definitiva, ha scontato 10 anni di carcere.
In cella Majid Muhamad ha detto di aver conosciuto Bassam Ayachi, l’imam del Belgio processato a Bari alcuni anni fa per terrorismo e attualmente in Siria. Sarebbe stato l’imam a regalargli il Corano. «Non sono mai stato un musulmano convinto e frequentatore di moschee – ha detto – ma studiando in carcere il Corano la mia fede è cresciuta. Quando poi sono tornato libero – ha detto al giudice – ho deciso di restare a Bari per rifarmi una vita, ho iniziato a lavorare con gli extracomunitari aiutandoli a trovare alloggio e a procurarsi i documenti necessari». Con il kebab di via Davanzati, nel centro di Bari, Majid Muhamad ha spiegato di avere un rapporto di collaborazione, di non aver quindi rilevato formalmente l’attività, procurando clienti per guadagnare una percentuale sulle vendite.
Rispondendo alle domande su alcune intercettazioni telefoniche ritenute «criptiche» dalla magistratura barese, Majid Muhamad ha spiegato di non aver mai voluto alludere a esplosivi, ma davvero a cinture di karate e tartufi. «I tartufi in Iraq costano molto meno che in Italia – ha detto – e volevo farmene spedire due chili per poterli rivendere qui e guadagnarci». Non ha negato, infine, di aver ripreso i contatti con «gli amici di Parma», che oggi vivono a Bolzano, i quali negli ultimi mesi lo hanno anche aiutato economicamente.
Majid Muhamad, difeso dagli avvocati Marco Vignola e Massimo Roberto Chiusolo, sarà sottoposto nei prossimi giorni ad un altro interrogatorio, questa volta investigativo, sulle ipotesi di terrorismo alle quali sta lavorando l’Antimafia.

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