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Preiti tra passato e futuro. “Che male il fallimento. Rimanere? Se mi vogliono…”

imagesUna lunga, lunghissima carriera, tra direzione tecnica e scouting. Una passione per il calcio immane, che lo ha reso uno dei più grandi conoscitori della pedata, e un grande scopritore di talenti in giro per il mondo.

Parlare di calcio con lui è una lezione, per esperienza conoscenza e capacità. Tanti anni per i campi, poi l’approdo alla Cisco Roma, l’incontro con Leonardi, il trasferimento a Udine, poi, insieme, al Parma. Dove, dopo sei anni, Antonello Preiti ha ricominciato a camminare da solo, rimasto unico baluardo nella bufera.

Ma l’allontanamento ideale con Leonardi era arrivato tre anni prima, visioni e intenti diversi, incomprensioni.  Perchè Leonardi era diventato diverso, e questo lo hanno notato tutti, tra accanimenti, voglia di visibilità e megalomania.

Ma ora anche lui è in “mezzo a una strada”. Come tutti i dipendenti di Parma Fc. I contratti sono diventati carta straccia, il passato, fogli di giornali per foderare il pattume. Il presente, chissà.

Partiamo dalla fine. Cosa farà ora Antonello Preiti?. “Bella domanda, il mio pensiero era rivolto a salvare il Parma, fino al 22 giugno ho pensato che uno dei due gruppi potesse dare continuità. Ed ero pronto a rimanere, non in forza dei due anni di contratto ma di un affetto fortissimo verso città e società. Avrei rinegoziato gli accordi, ma mi sarebbe piaciuto andare a braccetto con chi fosse arrivato”.

Ma non è arrivato nessuno. “E la delusione di non aver raggiunto l’obiettivo è fortissima. Io guardo avanti ma non ero preparato. Penso a cosa voglio fare, a cosa posso fare. Io cerco un progetto di calcio, in qualsiasi categoria. Non mi interessa il lustro, le copertine, la popolarità. Ma creare un gruppo con cui lavorare bene”.

Ci sono offerte? “Sinceramente no. Non sono solito offrirmi, propormi, nè farmi cercare se ho già preso un impegno. Io ho sempre lavorato con umiltà dietro le quinte , ho sempre pensato che la meritocrazia mi avrebbe dato ragione. Molti pensano che il mio legame con Leonardi fosse indissolubile e che lo avrei seguito, ma ora abbiamo preso due strade diverse”.

Ci fosse una possibilità a Parma? “Non mi spaventa la D, sono qui e sono a disposizione. Non ho mai avuto sentore che le due cordate interessate prima della “fine” avessero bisogno di me e me ne rammarico, ma se chi subentra mi vuole io sono qua.  Forse mi associano ancora a Pietro (Leonardi), ma lui è andato via, io sono qua. E cammino da solo”.

Il vostro sodalizio sembra non essere finito all’improvviso… “Tre anni fa abbiamo avuto uno scambio di vedute molto duro sulla gestione della società. Io mi sono sempre considerato un operaio del calcio, volevo cambiare indirizzo, abbassare i costi, evitare le spese eccessive.

Volevo creare una sorta di “Cantera” con tanti giovani. Inoltre avevo il sentore di un inizio delle difficoltà, mi pareva che venissero fatti passi più lunghi della gamba. Le prime avvisaglie tre anni fa. Pagamenti ritardati, dilazioni, fornitori scontenti.

Parlavano di mancanza di liquidità, solo dopo ho capito che era altro. Mi dicevano che era solo temporaneo, che motivo avevo di non crederci? Fino a quel giorno era andato tutto bene”.

Poi, la revoca della Licenza Uefa. “Ci dicevano che era per una fesseria, un cavillo. E noi ci credevamo. Ma c’era tanta confusione: è difficile ricominciare senza avere una cosa conquistata sul campo (Europa League). Non si parlava d’altro, era un gruppo ferito. Sarebbe stato da salvezza eccome, se non ci fosse stata la testa all’Europa negata, il caos, i ricorsi. Sono stati trattenuti i giocatori con promesse non mantenute, così non va bene.

Poi sono arrivati gli stipendi non pagati. “Da novembre ho capito che era l’inizio della fine. La “non Europa” andava gestita meglio, il gruppo cambiato, con risorse nuove, aria fresca. Invece di dire bugie si poteva puntare sui giovani, rimodellare la rosa, confessare di aver finito i soldi. Invece volevano stare nella parte sinistra, prendere un Cassano che non potevamo permetterci”.

Torniamo ai passi più lunghi della gamba. Voluti da chi? “Le strategie le fa chi comanda”.

240 giocatori sono tanti “E’ stata una strategia non condivisibile, che non ha prodotto risultati. Ma a volte bisogna anche rischiare, anche per mancanza di liquidità. Avesse funzionato parleremmo in modo diverso. Il progetto era di farli crescere, venderli una volta cresciuti, facendo campionati dignitosi, senza acuti. Ma mi si diceva che Parma non è Udine, che qui vogliono risultati. Ma non credo quello che stiamo vivendo piaccia di più”.

Facciamo il gioco delle responsabilità. Chi ha colpa di quanto accaduto al Parma? “Non sono un magistrato, un pm, o un avvocato. A ognuno il suo mestiere. Se è successo le responsabilità ci sono, di chi più, di chi meno. C’era un organigramma, c’erano le persone che operavano, le colpe ci sono state e chi di dovere giudicherà. I nomi li conosciamo tutti, non devo farli io”.

Esiste la riconoscenza nel calcio? “E’ il sentimento del giorno prima”.

Mandiamo un messaggio a Ghirardi. “Presidente, mi avesse ascoltato di più…”

Un messaggio a Leonardi. “A volte serve l’umiltà di capire i propri errori”

Un messaggio ai tifosi. “Mi dispiace che non mi conoscano e non aver avuto modo di confrontarmi con loro. Sono rammaricato quanto loro per quanto successo. Auguro loro un futuro di soddisfazioni, sono intelligenti e per bene”.

Che Parma sarà? Mi auguro possa risalire presto, per la storia che ha fatto. Gli auguro di tornare presto nella massima categoria. Però per ora va fatta una rosa di categoria, senza troppi sogni.

Preiti rimarrà? “Io ho casa e famiglia qui, Parma la sento casa mia”.

(francesca devincenzi)

 

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