Home » Cronaca » Stalking, la denuncia della terapeuta: “C’ è sottostima dei rischi”

Stalking, la denuncia della terapeuta: “C’ è sottostima dei rischi”

images

Un senso del possesso mostruoso e folle, una nera idea di amore che coincide con l’annullamento della persona desiderata. Una distorsione patologica della relazione di coppia in cui l’altro – di solito la donna – viene squalificato ad oggetto, reificato, non riconosciuto nella sua interezza di persona e privato dei più elementi diritti. Privato, nei casi estremi, della vita.

Ne abbiamo parlato con Roberta Bruzzone, criminologa e psicologa forense, che ha vissuto sulla sua pelle la persecuzione di un ex diventato stalker. Una donna vincente (anche rispetto ai pregiudizi che gravano sulle professioniste di successo e belle) che è consulente scientifico e vicepresidente de “La Caramella Buona”, associazione contro la pedofilia che da qualche anno ha esteso l’attività alla tutela delle donne vittime di violenza.
Dottoressa Bruzzone, in Italia i casi di violenza sulle donne sono in aumento o semplicemente se ne parla di più?
I casi sono in netto e costante aumento da diversi anni, non è solo un problema di percezione. Pensi al femminicidio: registriamo un numero impressionate di casi; dal 2000 ad oggi sono state ammazzate circa 2.200 donne.
Perché accade?
Il nostro Paese ha problematiche enormi: sociali, culturali e relazionali tra i generi. Si pensi a come viene gestita l’immagine della donna: barbaramente mercificata ovunque, anche con la complicità di contenitori mediatici importanti. Così diventa facile considerare la donna un oggetto che appartiene all’uomo, e che si inneschino delle dinamiche di controllo e di violenza. Fino all’omicidio.
E’ un fenomeno tipico italiano? “Femminicidio” venne utilizzato per la prima volta dai media in relazione alla misteriosa e infinita strage di donne a Ciudad Juarez…
E’ certamente un termine mutuato dalla famigerata strage di genere in Messico, ma in Italia è alimentato da un clima socio-culturale molto negativo. Anche l’Onu ha censurato più volte il nostro Paese per quello che succede. I numeri sono evidenti: la stragrande maggioranza delle vittime, tra l’altro, in precedenza aveva già denunciato minacce di morte, maltrattamenti, atti persecutori, senza sortire effetto… E così hanno ricevuto attenzione solo dopo morte.

Come giudica la legislazione italiana in materia?
La legislazione è avanti, anche sullo stalking. Ma se si osserva quando e quanti ordini di protezione vengono realmente applicati anche in presenza di soggetti molto violenti, ci si rende conto che in pratica non si fa abbastanza. Sono tutte storie di ordinaria ingiustizia. E’ un Paese duro per il sesso femminile così come per i bambini e in genere per le vittime, tuttavia non sotto il profilo giuridico quanto dal punto di vista della volontà degli operatori di tutelare le fasce più deboli. A volte poco ci manca alla complicità!
Parla di magistrati e forze dell’ordine?
C’è una grave sottostima dei rischi enormi insiti in comportamenti persecutori, che danno poi vita ad una escalation di violenza.

La denuncia blocca i maschi violenti oppure li incattivisce ulteriormente?
Questa gente, che considera la donna di loro proprietà, si pone al di sopra della legge: se ne frega delle ordinanze e prosegue nei maltrattamenti; se è agli arresti domiciliari esce e continua a perseguitare. Non dico che tutti i casi siano così estremi, con rischi reali per la vita delle vittime: ma pensi quante donne con figli piccoli subiscono maltrattamenti, con danni giganteschi sui bambini, con effetti che si possono solo ipotizzare sulla lunga durata… Dovremmo iniziare a riconoscere precocemente i segnali e fare prevenzione, ma come risposta nel nostro Paese sono stati ridotti ulteriormente i fondi per i Centri Antiviolenza: secondo la “Convenzione di Istanbul” dovrebbe essercene uno ogni 100mila abitanti, invece ne abbiamo uno ogni 400mila persone.
S

uccede solo in Italia?
Siamo peggiori di tanti altri Paesi.

L’uomo violento, lo stalker possono essere curati da uno psicologo/psicanalista?
Non è facile trovare centri specializzati, ma certamente ci sono numerosi professionisti in grado di prendersi in carico soggetti che hanno disfunzioni nelle modalità relazionali. Basterebbe solo informarsi, ma purtroppo la maggior parte di questi “signori” non considera patologica la propria violenza e attribuisce tutte le colpe dei propri comportamenti alla vittima.

Ci sono donne stalker?
Certo, ma difficilmente sfociano nella violenza. Hanno modalità disfunzionali e cercano il controllo del partner, ma l’aggressività della donna si trasferisce – ad esempio – sulla presunta nuova partener dell’uomo.

Lei è stata a lungo vittima di stalking. Come ha fatto una donna intelligente, con una personalità decisa e una preparazione professionale specifica a non accorgersi che accanto aveva un violento?
Ero molto giovane quando è iniziata la relazione: mi ero trasferita a Roma da poco. Lui, essendo più grande di me, aveva una condizione di “superiorità”, anche lavorativa. Di fatto riusciva a controllare tutti gli aspetti della mia vita, fino a quando non mi sono emancipata e la mia crescita professionale ha messo in ombra lui e la sua stessa professionalità. Mise in atto ritorsioni, anche nella coppia, ma io non ho accettato limitazioni. Invece di essere felice dei miei successi, arrivò a livelli parossistici; si è scompensato quando ha sentito che non mi aveva più sotto controllo e la sua stessa posizione iniziava a vacillare. Era un uomo che io ritenevo in gamba, con determinate qualità che strada facendo si sono deteriorate tanto più io assumevo visibilità e competenze sul lavoro. In seguito, non mi ha perdonato di vivere senza di lui e di avere soddisfazioni: il vedermi in televisione lo fa uscire di testa, avere delle recidive; evidentemente ci soffre ancora moltissimo. Sì… sono stati anni molto duri.

Qual è il consiglio che dà alle donne che si dovessero malauguratamente trovare in questa situazione?
Denunciare sempre e comunque. Rivolgersi a chi ha reali competenze professionali per comprendere bene lo scenario. E poi cercare di capire prima possibile quali risorse sociali si possono mettere in campo: la fase critica è a 6 mesi da momento della denuncia. La vittima non deve violentare la sua vita, chiudersi in casa per la paura, ma attivare e far ricorso ad una rete di protezione sociale – amici, conoscenti, parenti – sia per cercare di spezzare l’isolamento sia per avere protezione. I soggetti violenti sono di solito dei vigliacchi e non agiscono se la vittima non è sola, si fa accompagnare, viene circondata da persone amiche.

Lascia un Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato.I campi obbligatori sono evidenziati *

*